Volete darci la Banca del Sud, ma siete matti? Volete reintrodurre una forma di sostegno al Meridione che somiglia alla cassa del Mezzogiorno, ma vi ha dato di volta il cervello? Volete fare il ponte sullo Stretto, ma ci volete morti? Volete rilanciare il turismo al sud facendo nascere i casino, ma voi siete solo pazzi...
Non c’è programma, investimento, iniziativa di rilancio del sud che non sia criticato o bocciato. E non dai padani o dai romani, ma da quelli del sud.
Al sud è nato il partito degli iettatori progressisti. Diceva tre secoli fa l’economista meridionale Antonio Genovesi, che la malattia del sud si traduce in una parola chiave, anzi in una parola chiavica, che fa sprofondare il sud nella fogna della paralisi: «Nonsipuò». Sono passati tre secoli e la sola differenza tra quel tempo e il nostro è che a dire «Nonsipuò» non sono più gli agrari reazionari, le bigotte o i contadini - conservatori per indole e natura - ma è un ceto intellettuale-mediatico progressista, laico e radicale. Se prendete i giornali del sud, e le pagine meridionali dei giornali nazionali, è un continuo non si può.
Gli ultimi sudaticci negazionisti li abbiamo sentiti proprio giovedì, che è stata varata la banca del sud. Coro di no degli intellettuali e degli imprenditori progressisti alla nascita della Banca del Sud, titolano i giornali a mezzogiorno, «È il solito spot del governo», aggiungono. Ci sarebbe da aspettarsi una levata di scudi dei settentrionali, e invece no, a reagire così sono proprio i beneficiari dell’impresa. Che il governo o Tremonti in persona lo faccia per conquistare consensi non mi pare né una novità né un’oscenità: magari se tutti i governi italiani avessero cercato di conquistare il consenso con le opere e non con le magagne, progettando iniziative alla luce del sole per il riscatto del sud e non favorendo clientele sotto banco e patti con la malavita.
Si possono anche discutere gli effetti che potrà avere una Banca del Sud, ma io ricordo fior di meridionalisti e di giornali meridionali che per anni hanno lamentato la colonizzazione finanziaria del sud, il drenaggio di investimenti prelevati a sud e portati a nord e hanno rimpianto l’epoca in cui il sud aveva grandi banche proprie e nazionali, come il Banco di Napoli o di Sicilia. Ora che qualcuno rilancia l’idea del sud imprenditore di se stesso, che rilocalizza i luoghi simbolici e reali della sovranità creditizia a sud, i meridionalisti piangenti insorgono offesi.
Non vi dico poi la sollevazione contro la Brambilla che ha prospettato la possibilità di far nascere casinò negli alberghi a sud: sinistre e Cgil reagiscono offesi, come se avessero chiesto al sud di prostituirsi e spacciare droga.
Di tutte le proposte per il rilancio del sud, alcune le condivido altre no. Per esempio, io non farei rinascere sotto falso nome casse e cassette del Mezzogiorno, dopo che le regioni del sud non hanno saputo usare i fondi europei. E tra le priorità strutturali e simboliche del sud non mi pare che il Ponte sullo Stretto sia la scelta giusta; ne parlai nel mio libro «Sud». Quando vedi crollare in quel modo Messina, pensi ad altre priorità. Ma nel complesso posso dire due cose spassionate, da uomo del sud fiero d’esserlo: non avevo mai visto una concentrazione di progetti per il sud così densa e impegnativa da parte di un governo; e poi alcune di queste iniziative avranno pure mille controindicazioni, ma come diceva Machiavelli meglio fare e poi pentirsi che non fare e poi pentirsi ugualmente. E la malattia meridionale finora è stata il non fare, nonsipuò... Avessero solo un valore simbolico e psicologico, quelle opere segnerebbero già un mutamento importante nella mentalità.
Qui però c’è da affrontare il nuovo fatalismo in malafede che prospera al sud e che fa rimpiangere l’arcaico ma genuino fatalismo del sud, popolare e contadino: il fatalismo inerte, accidioso, delle classi colte. Se togli tutte quelle iniziative cose resta al sud? Resta solo andar via, abbandonare, emigrare con la mente se si superano i 40 anni, e col corpo se si è ancora giovani. Ma dicevo mala fede non a caso. L’ostilità a ogni progetto, questa volta, non viene dalla gente comune, dal popolino conservatore e ignorante, ma da chi dovrebbe guidare lo sviluppo del sud, tra università, giornali, intellettuali, oltre che naturalmente opposizione, sindacati, associazioni. Ho l’impressione che al sud stiano crescendo gli impresari dell’inerzia, del non-fare, dello scetticismo, perché c’è gente che campa sulla drammatizzazione del sud.
Intellettuali, giornalisti, cineasti, magistrati, scrittori-magistrati che perderebbero il loro mestiere di teologi della sfiga, di cantori della catastrofe, di ideologi del sud incurabile. Questa visione del sud che oscilla tra la malattia e la denuncia, questa visione questurina e ospedaliera del Meridione, è la base per la loro letteratura, il loro ruolo intellettuale e civile, l’autorappresentazione come l’élite separata dal becero Meridione inoperoso e malavitoso. Altro che la Lega; a sud c’è un ceto che campa su questo sud senza redenzione. E fa pendant con chi al nord denuncia la meridionalizzazione d’Italia. Come fa Aldo Cazzullo, piemontese, inviato del Corriere della sera, nel suo vivace «L’Italia de noantri - Come siamo diventati tutti meridionali», uscito in questi giorni da Mondadori (gli ho contestato il titolo, noantri è romanesco, non terrone). Secondo Cazzullo l’Italia sarebbe immersa nel sugo di pomodoro, cioè allagata dal sud. È vero, e questo dipende dal fatto non secondario che due terzi d’Italia sono nati o sono oriundi meridionali, un tempo prolifico (oggi fa meno figli del nord). Il carattere nazionale, arcitaliano proviene in gran parte dal sud, nel bene e nel male: fantasia, favori, vivacità e sregolatezza, latin lover, mariuoli e piezz ’e core. Il nord unì l’Italia, il sud l’animò.
Marcello Veneziani
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