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CI SALVERANNO LE PICCOLE IMPRESE

È uno di quei giorni in cui il futuro sembra senza paracadute. La crisi finanziaria gira intorno al suo fulcro, si avvita, e va ancora più giù. Il Fondo monetario internazionale vede per l’Italia due anni di recessione. Non siamo i soli. Spagna, Gran Bretagna e Irlanda arrancano come noi. Il sole, dicono, riscalda solo la Germania. Lì, la crescita industriale è la migliore degli ultimi 15 anni. Gli inglesi si sono messi a nazionalizzare le banche. C’è da aver paura, ma è l’unico sentimento che in questi casi bisogna davvero esorcizzare. Non è facile, ma la ricetta più saggia, e razionale, è vivere come se la crisi non ci fosse. Non ritirarsi. Vero, poi bisogna fare i conti con i portafogli vuoti. Ma quello che in questi giorni fa davvero tremare sono i dialoghi rubati sul treno, nei bar, tra i colleghi. Due ragazze, mentre fumano una sigaretta, stanno parlando proprio di questo. Una dice: «Quest’anno niente scarpe. Mi tengo quelle vecchie». L’altra dice sì con la testa. E aggiunge: «Dobbiamo risparmiare». L’aria che si respira è questa. La crisi non fa ballare solo le Borse, mette piede nelle imprese e atterra sulla vita quotidiana.
Il grande rischio è che la crisi tocchi profondamente la spina dorsale dell’Italia. Quelle piccole e medie imprese che sono una risorsa antica, radicata sul territorio, concreta e flessibile. Sono quelli che fanno la roba e creano ricchezza. Gente abituata a vivere con il credito strozzato, che s’ingegna, si arrangia e finora è sempre riuscita ad andare avanti. È quel piccolo capitalismo che ricorda i mercanti tanto amati da Werner Sombart, che magari soffre quando si tratta di navigare nelle acque profonde dell’economia globale, ma veloce nel piccolo cabotaggio. Quelli che quando si parla di Cina un po’ bestemmiano, ma poi dicono: «Loro copiano, noi creiamo». Ecco, se questi cadono è davvero finita. Non bisogna proteggerli, ma davvero stavolta non tartassateli. Hanno bisogno di aria, di fiducia, di credito. Le banche, tanto prodighe con la finanza, devono ricordarsi che esiste la terra, il lavoro, la produzione. Esiste la realtà. Esistono i soldi veri, non ancorati al futuro ipotetico.
Lo dicono anche i dati economici. Nei primi sei mesi del 2008, mentre l’occupazione in Italia diminuiva del 20 per cento, la piccola e media impresa registrava un più 7,5%. Il discorso è chiaro. I piccoli capitalisti continuano a creare lavoro. A dispetto di tutto, delle banche, della finanza, dei pasticci Lehman Brothers, dei tassi d’interesse alti e del braccino corto della Bce. E lo faranno, dicono le previsioni, fino a dicembre. Sette virgola tre per cento anche nel secondo semestre.
L’ultimo rapporto Censis raccontava una società inconcludente e rassegnata, «sommersa dalla mucillagine». Un Paese fermo, statico, ingessato. Una poltiglia di massa. Qui, in questo caos calmo, gli unici a resistere erano quel pugno di imprenditori, piccoli e coraggiosi. Il futuro è nelle loro mani.

E forse questa tempesta cattiva spazzerà via la mucillagine.

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