Ci stiamo dimenticando di quanto ci danneggia la concorrenza sleale cinese

Egregio direttore,
inesorabile arriva il voto proprio come al termine dalle maturità, l’Istat ha staccato un bel -6% di variazione del Pil. Caleranno gli incassi tributari e naturalmente la colpa sarà dell’evasione fiscale, vero paravento usato fin troppo spesso per giustificare di tutto: dai buchi di bilancio in avanti la colpa è sempre degli evasori e mai di politiche di spesa folli che chiunque boccerebbe senza appello.
Le imprese italiane nel frattempo chiudono e quelle che sopravvivono lo fanno con un massiccio ricorso alla cassa integrazione cresciuta in maniera esponenziale nell’ultimo anno, tutto a causa della carenza di ordinativi. Fino a pochi anni fa per spiegare la difficoltà di competere sui mercati internazionali si dava la colpa alla globalizzazione e all’aggressività della Cina, capace di produrre a costi particolarmente contenuti a causa del basso costo della mano d’opera. Ora non se ne parla più nonostante al governo ci sia una coalizione che al suo interno ha una componente «razzista e xenofoba», alla Cina non ci pensa più nessuno proprio come se da laggiù non arrivasse più nulla o come se i prezzi di quelle merci improvvisamente fosse non più concorrenziale. Eppure ce lo hanno detto in tutte le salse che l’Italia aveva tutte le carte in regola per competere con la Cina ad armi pari, lo ammise lo stesso Ciampi (da presidente di ritorno da un viaggio ufficiale nell’ex impero celeste). Pia illusione: le armi pari tanto pari non sono e più volte le imprese cinesi hanno tranquillamente sconfinato nella concorrenza sleale a colpi ripetuti di copiatura di marchi e brevetti e di esportazione di prodotti pericolosi o nocivi, comunque al di sotto di ogni standard qualitativo. La pacchia cinese forse ha subito una battuta d’arresto e la corsa alla merce a basso prezzo incanta sempre meno sia l’utente finale che chi l’acquista per scopi professionali, preferendo il caro e vecchio prodotto europeo, sempre che nel frattempo il costruttore europeo esista ancora.
Meno male che c’è la Lega «razzista e xenofoba» che si batte contro l’invasione incontrollata di uomini e cose. Sarà la volta buona che inizino le rivendicazioni nei confronti di quella Cina che ha gettato le basi per mandare in rovina molte aziende italiane, ben prima dell’inizio della recessione. È giunto il momento di presentare il conto dei danni a Pechino.

Cara Eva,
alcuni anni fa, credo sette od otto, in una intervista a Panorama il ministro Tremonti disse una cosa che mi colpì subito: in proporzione costava di più trasportare un container da Genova a Torino che da Shanghai a Genova. Una provocazione, forse. Ma anche una verità fattuale, vista la clamorosa sperequazione tra i costi del lavoro in Oriente e quelli in Occidente.

C’è quindi molto da fare in questa direzione e alcune scelte dell’attuale governo seguono questa linea. Ma l’ostacolo più importante da superare è quello che dice lei: ammettere che il problema esiste, invece di continuare, come fa certa politica, a fingere colpevolmente che le responsabilità siano altre.

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