Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
Una «rivelazione» e un bisbiglio sono venute a movimentare ancor più le acque tempestose in cui naviga da qualche tempo la Casa Bianca. Riguardano entrambe il «caso» di Valerie Plame, lagente segreto della Cia «esposta» da fonti molto vicine allamministrazione Bush. La rivelazione è che Lewis Libby, braccio destro del vicepresidente Dick Cheney, non avrebbe appreso «da un giornalista» lidentità della Plame per poi ritrasmetterla alla stampa, bensì dal vicepresidente in persona. La «voce» è che Patrick Fitzgerald, il magistrato incaricato dellindagine, avrebbe deciso di chiedere al Gran Giurì, cui spetta la decisione finale, lincriminazione di almeno due responsabili, che potrebbero essere Lewis Libby e Karl Rove, vicecapo dello staff della Casa Bianca, stratega delle campagne elettorali di Bush e suo intimo consigliere. Lo afferma, almeno, The Rawstory, un sito su Internet che pare sia stato già autore di scoop rilevanti, e che ritiene di poter aggiungere che i capi daccusa includerebbero reati più gravi, dallo «spergiuro» allostruzione di giustizia» alla «cospirazione».
Il giudice Fitzgerald ha tenuto finora le carte coperte, ma si sa già che se emetterà latto daccusa, Rove e Libby si dimetteranno. Originariamente linchiesta (che è già costata un milione di dollari) riguardava come e noto la rivelazione alla stampa dellidentità di una spia della Cia (il cui anonimato deve essere protetto). Sul piano giuridico lidentità di chi ha fornito a Libby la notizia che egli è accusato di avere trasmesso a un redattore del New York Times non fa una grande differenza: in America reato è rendere pubblico il nome di un agente segreto, non comunicarselo allinterno del governo. Ma pare che sia Libby sia Cheney abbiano raccontato il contrario, e questo potrebbe configurarsi come «spergiuro», reato più grave e soprattutto di maggiore risonanza politica. Infatti Valerie Plame è la moglie del diplomatico Joseph Wilson, «colpevole» di aver definito infondate le accuse a Saddam Hussein di aver cercato di procurarsi nel Niger luranio con cui fabbricare bombe atomiche per minacciare lAmerica. Averla «messa a nudo» può dunque apparire sia come una ritorsione sia come unintimidazioni nei confronti del consorte.
Cè chi trae dagli ultimi eventi una conclusione forse troppo drammatizzata e parla di un uragano che si starebbe abbattendo sulla Casa Bianca e che potrebbe investire prima o poi Bush in persona. È troppo presto per saperlo. È certo, invece, che il presidente e i suoi collaboratori stanno lavorando febbrilmente a costruire degli argini, sia sul piano legale, sia su quello politico. Viene abbandonata la linea del diniego, quella iniziale secondo cui «nessuno nellamministrazione ha fatto il nome di Valerie Plame», e si ripiega su una linea più arretrata ma forse più solida: fare il nome dellagente può essere stata una grave svista, addirittura una scorrettezza, ma non un reato, e soprattutto quel gesto non deve essere in alcun modo considerato parte di una strategia di cover up per gli errori e le giustificazioni infondate della guerra allIrak.
È questa invece la linea dattacco dei critici più acerbi dellamministrazione. Essi descrivono una «congiura» dalle radici molto lunghe. Frank Rich, sempre sul New York Times, giunge ad asserire che il primo impulso della guerra allIrak sarebbe venuto da Rove per motivi elettorali, in conseguenza del declino nei sondaggi della popolarità di Bush dopo il «picco» dellinverno fra il 2001 e il 2002. Rove avrebbe dunque avvertito il bisogno di un nuovo blitz militare che apportasse gloria fresca alle armi Usa e soprattutto riaccendesse la tensione. Questo lo avrebbe portato in contatto con Libby, tuttaltro tipo di persona, un ideologo convinto da anni della necessità delleliminazione del regime di Saddam Hussein per motivi geopolitici, che andrebbero dalla «produzione indisturbata del petrolio» a «una posizione più sicura per Israele». Cheney la pensava come Libby e assieme essi avrebbero convinto Bush a fare la guerra. Dopodiché bisognava «trovare dei motivi» e si passò alle «armi di distruzione di massa». Fra le «prove» fabbricate cera quella dellimportazione di uranio dal Niger. Il diplomatico Joseph Wilson fu mandato a controllare, scoprì che non cera niente di vero e lo riferì allamministrazione. La guerra venne lo stesso e Wilson qualche mese dopo rese pubbliche le sue osservazioni.
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