Ciampi chiude il caso: «Va bene così»

Il leader dell’Udc: «Berlusconi dovrebbe fare un monumento agli alleati. E noi a lui»

Massimiliano Scafi

da Roma

Va bene così, «giriamo questa pagina». Non c’è l’impegno nero su bianco del governo, non c’è «la carta», ci sono però le parole abbastanza vincolanti pronunciate alle 10,30 a Sky-tv 24 da Silvio Berlusconi: «Si vota il 9 aprile, ho dato la mia parola al Presidente della Repubblica».
È questo il gesto, la dichiarazione formale che il capo dello Stato aspettava per dare il via libera all’accordo? Certo, non c’è niente di scritto, ma del resto, dopo la gaffe di Gianni Alemanno, che l’altra sera ha annunciato un comunicato del Viminale e costretto Palazzo Chigi a una rapida smentita, quella strada era bruciata.
Così, per suggellare l’intesa, il premier ha dovuto scegliere il piccolo schermo. Carlo Azeglio Ciampi sembra soddisfatto lo stesso: «Basta così, ora andiamo avanti». Aspetta solo che il Cavaliere risalga al Quirinale per ufficializzare la data, poi nei prossimi giorni avvierà le procedure previste «secondo le sue prerogative».
Visto dall’ottica del Colle, il bilancio non è negativo. Innanzitutto, come viene sottolineato, è stato disinnescato un pericoloso scontro istituzionale, dalle conseguenze imprevedibili. Poi, è stata ottenuta l’assicurazione che Palazzo Chigi non tarderà a convocare i comizi elettorali e ad applicare la par condicio. E ancora, è stato evitato il rinvio delle elezioni e scongiurato quindi un pericoloso e caotico ingorgo istituzionale. La data del 9 aprile infatti era stata calcolata con cura, d’intesa con il Viminale, per scansare sovrapposizioni con la Pasqua cattolica, quella ebraica, la festa della Liberazione, il Primo Maggio e coincidenze con altri appuntamenti elettorali: primo e secondo turno delle amministrative, regionali siciliane, referendum sulla riforma della Costituzione, più ovviamente la nomina del capo dello Stato. Tra le cose positive Ciampi mette anche il parziale raffreddamento del clima politico, almeno sull’argomento dello scioglimento. «Quindici giorni in più non cambieranno il risultato», dice Romano Prodi.
Inoltre il capo dello Stato incassa il sì della maggioranza su due questioni che gli stanno particolarmente a cuore. La prima è la revisione della legge sulla raccolta delle firme per presentare le liste elettorali, che riguarda i nuovi partiti come la Rosa nel pugno: Marco Pannella è in sciopero della sete.
La seconda è la norma che consente ai sindaci di candidarsi senza essere costretti a dimettersi sei mesi prima dello scioglimento delle Camere. E il Senato già martedì sera ha «ascoltato» il suggerimento presidenziale, approvando l’emendamento taglia-firme al ddl Pisanu sul voto elettronico, presentato dalla Cdl. Di più insomma il capo dello Stato non poteva ottenere, visto che, dopo il decreto di scioglimento, gli strumenti per portare il Paese al voto sono sostanzialmente in mano al governo.
Superato il braccio di ferro, resta forse un po’ di ruggine con Palazzo Chigi. Al Quirinale descrivono comunque un presidente «assolutamente tranquillo» e «impegnato nel lavoro di tutti i giorni», che oggi prevede un incontro con cinque nuovi ambasciatori, l’udienza con i sindaci delle zone terremotate del 1980 e la preparazione dei prossimi viaggi.
Intanto registra l’apprezzamento trasversale per come ha gestito il negoziato.

Pier Ferdinando Casini lo vorrebbe confermare: «L’inquilino al Quirinale c’è già e ha interpretato il suo ruolo di garanzia delle istituzioni in modo straordinario. Dovrebbe rimanere al suo posto sempre». D’accordo Piero Fassino: «Riappoggeremmo una sua ricandidatura. E Prodi: «Ciampi ha dimostrato saggezza e tenacia».

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