Massimiliano Scafi
da Roma
Una, una sola la «stella polare»: la Costituzione. È quella «la mia Bibbia laica», quello il testo sacro che «illumina le scelte del Presidente della Repubblica», quello «il sicuro riferimento del supremo garante delle istituzioni». E tre sono i precetti, dialogo, unità e rispetto, tre le chiavi di volta, gli «strumenti per il buon governo della cosa pubblica». Tre parole già sentite, in sette anni Carlo Azeglio Ciampi le avrà pronunciate sette milioni di volte. Ma stavolta hanno un suono diverso e più concreto, perché indicano la strada da seguire nel «nuovo capitolo che si è aperto dopo il voto del 9 e 10 aprile, scandito dal succedersi di atti istituzionali dovuti, primo fra tutti linsediamento del nuovo Parlamento». Questa è, annuncia, «lora di fruttuose convergenze» e di «grandi scelte politiche». Presidenze delle Camere, riforme, conti pubblici e anche il Quirinale. E Ciampi, che in sette anni ha lavorato per ricucire lItalia con il filo rosso della memoria condivisa, ricorda che «mi sono sempre sentito sostenuto a ogni passo da un largo consenso».
No, non è solo il bilancio di un mandato, non è un testamento spirituale quello che il capo dello Stato legge con voce tonante nel cortile donore del Quirinale per la festa del 25 aprile. E non sembra proprio un discorso di congedo, di addio, quando spiega di avere «chiara nella mente unidea di Italia che so condivisa dai miei compatrioti». Il settennato è agli sgoccioli, ma lui rivendica lo stile del civil servant con cui lha incarnato. «Io non sono mai stato un uomo politico, ma soltanto un cittadino al servizio dello Stato. Quando ero già avanti con gli anni, mi sono stati affidati compiti politici che mi sono sforzato di assolvere avendo sempre come sicuro riferimento la Costituzione». Incarichi che forse, magari, chissà, se richiesto potrebbe continuare ad assolvere. Lui ovviamente non si ricandida. Ma dice: «È nel dettato della Carta che un presidente della Repubblica, eletto come supremo garante delle istituzioni e delle libertà di tutti, trova le parole illuminanti, i principi, i valori, le regole che gli indicano con chiarezza quali debbano essere le sue scelte. E la Costituzione è la Bibbia civile su cui ho riflettuto in ogni momento difficile». E così, disegnando un autoritratto, traccia pure lidentikit del presidente bipartisan tanto ricercato in queste ore.
Dialogo, dunque, «in una giornata come questa sento il dovere di rivolgere a tutte le forze politiche un forte invito a lasciarsi alle spalle le durezze della contese elettorali. Il dialogo è lessenza della vita in una democrazia operosa, è lessenza dellistituzione parlamentare. Il cuore di una nazione libera batte in Parlamento». E unità, concetto che Ciampi ripete dieci volte: «Il mio dovere fondamentale, espresso nel giuramento di fronte alle Camere, è quello di essere garante della libertà dei cittadini e dellunità della Patria». Unidentità che «ha radici profonde, dalla Roma classica al Cristianesimo, allUmanesimo e al Rinascimento», fino al Risorgimento e alla Resistenza. Da lì, dal «miracolo» compiuto da «una società solcata da profonde divisioni e da antagonismi ideologici», nasce la Carta «che stabilisce le regole del nostro vivere insieme». Si può cambiare, ma senza stravolgere i principi «che hanno reso cittadini gli italiani» e senza spaccare il Paese. Un Paese che comunque «è molto più unito e omogeneo, nei suoi sentimenti e nelle sue scelte, di quanto farebbe pensare leccessiva asprezza degli scontri politici di vertice: nel mio lungo viaggio in tutte le province mi sono sempre sentito sostenuto da un largo consenso, espressione di uno spontaneo, forte, sincero patriottismo».
Infine il rispetto, quello dovuto «alle grandi istituzioni nazionali», e cioè il Parlamento, gli enti locali, la Consulta, la magistratura, le forze armate e le forze di polizia. E quello che dovrebbero concedersi i due blocchi, adesso che si entra nel vivo della legislatura.
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