Ciancimino jr ricorda che si vota e inventa un Berlusconi mafioso

Dite a Massimo Ciancimino che c’è un limite a tutto. Spiegate al figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo che anche solo per questioni anagrafiche non può essere lui il depositario dei segreti di Cosa nostra e dei misteri tricolori, da Gladio a Ustica, dal caso Moro alla P2 fino all’omicidio Calvi, passando per la «trattativa» con la mafia e i «mandanti istituzionali» delle stragi del '92. Non può sapere tutto lui. Non può dire - e ieri l’ha detto - di ricordarsi nitidamente dell’ingegner Lo Verde, alias Bernardo Provenzano, «che frequentava spesso casa nostra nel 1970» perché a quel tempo lui, Massimuccio, aveva appena sette anni. Già che ci siete ricordategli quel che sul suo conto diceva il suo papà in ambasce perché agli studi preferiva le belle femmine («cercava di controllarmi - ha confidato al pm il 7 aprile del 2008 - perché diceva che ero un po' spaccone... a buona ragione credo»). Ecco, fate presente al Ciancimino «spaccone», che a forza di alzare sempre più il tiro su Berlusconi e Dell'Utri poi non può lamentarsi se i tanti detrattori gli fanno le pulci sulle «minchiate» dette interrogandosi pure sui tempi delle confessioni tardive coincidenti con l’appello del suo processo dov’è imputato di riclaggio e dove gli hanno ridotto la condanna da cinque a tre anni. Le raccomandazioni in premessa servono a illustrare lo stato dell’arte a poche settimane dalla sentenza Dell’Utri, a un mese dal voto, nei giorni in cui c’è un Pm che sta cercando un link criminale per attaccare (e confiscare) il patrimonio del premier. Servono soprattutto a raccontare l’ultima partita di Ciancimino jr, con il primo tempo che s’è giocato ieri a Palermo in una lunga deposizione al processo che vede il generale Mori e il colonnello Obinu del Ros accusati d'aver favorito la latitanza del boss Provenzano. Il colpo a effetto Ciancimino se l’è tenuto per la tarda mattinata. «Papà era vicino a mafiosi che avevano una grande capacità imprenditoriale, come i fratelli Buscemi e Franco Bonura da lui soprannominati i gemelli. Si vedevano la domenica al ristorante la Scuderia a Palermo. Assieme investirono soldi all'estero, perché così consigliato da Caltagirone e Ciarrapico, e anche in una grande realizzazione alla periferia di Milano, che è stata poi chiamata Milano 2». La butta lì, «Milano Due». Senza dire altro, perché altro non serve dire visto che tutti sanno chi costruì a Segrate con la società Edilnord. «All'inizio (don Vito, ndr) non era entusiasta del nuovo business» ma poi, a dar retta al figlio, il padre avrebbe finito per accettare. Dunque, stando a quel che racconta nel 2010 Ciancimino figlio, Silvio Berlusconi negli anni '70 sarebbe stato finanziato direttamente da Ciancimino padre. E questa è una novità assoluta, mai emersa in alcun processo di mafia o in qualche verbale di pentito: gli unici a citare marginalmente Milano 2 fin qui sono stati il collaboratore Di Carlo (ma solo per collocare temporalmente il viaggio dei boss Teresi e Bontade a Milano «all'epoca in cui si stava costruendo quel complesso edilizio», appunto Milano2) e il compare Gaspare Mutolo («negli anni ’70 la mafia doveva rapire Berlusconi, ma non sapevamo manco chi era, ci avevavo detto, è quello di Milano 2»). In decine e decine di verbali finora non aveva parlato dell’investimento mafioso a Segrate nemmeno lui, il loquace figlio dell’ex sindaco mafioso, che in compenso, non sapendo come tirare dentro Berlusconi, ci ha provato con Marcello Dell'Utri sostenendo che era vicino a Provenzano con cui si scambiava letterine, e «che sicuramente il senatore aveva gestito i soldi che appartenevano al boss Stefano Bontade». Sul Bontade milanese il buon Ciancimino jr è stato smentito dai riscontri processuali (Bontade era al soggiorno obbligato in Umbria non poteva essere salito al nord). Sui finanziamenti mafiosi a Berlusconi e sui rapporti con Cosa nostra, senza scomodare Spatuzza e la recente figuraccia fatta a proposito dei «piccioli» milanesi dei Graviano, la smentita è tripla. La consulenza-Giuffrida sulle holding della Fininvest disposta dalla procura di Palermo che esclude cointeressenze mafiose; il procedimento per riciclaggio a carico di Dell'Utri, noto come il 6031/94; il decreto di archiviazione della procura di Caltanissetta sui mandanti esterni delle stragi del '92 che proscioglie gli indagati «Alfa» e «Beta», alias Berlusconi e Dell’Utri. Archiviazione che, per sciagura di Ciancimino junior, prende in esame anche gli imprenditori «gemelli» che avrebbero convinto l'ex sindaco a investire i risparmi sporchi sul mattone del Berlusca. È un po’, come detto, che Ciancimino ha alzato il tiro. Ha accostato il nome di Berlusconi a quello di Provenzano consegnando «pizzini» custoditi per decenni di cui prima s’è detto certo esser scritti da Zu Binu, poi s’è corretto e li ha accollati al padre, quindi no, forse la grafia è di Riina, ma siccome quello scrive come parla, allora forse è stato un amico di Toto’ u curtu.

Una confusione che, verbale dopo verbale, è stata poi aggiustata anche se fa a cazzotti con quel che il 12 settembre scorso Ciancimino jr sussurrò al Giornale: «Io a Silvio Berlusconi mafioso non ci credo, papà non mi ha mai detto niente al riguardo. Glielo chiesi tre o quattro volte, e lui (papà, ndr). “È fuori da tutto”...»

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