«Cicerone, modello per giovani (e meno giovani)»

Diplomato al liceo classico Muratori di Modena, laureato in lettere antiche all’Università di Bologna, Valerio Massimo Manfredi si definisce, prima ancora che docente, scrittore e instancabile studioso, un cultore del mondo antico. Questa maturità sembra fatta apposta per lui: Cicerone come seconda prova al classico. Cicerone che parla della responsabilità degli uomini di Stato.
Trovarsi una versione di Cicerone per i ragazzi sembra essere stato un sollievo, temevano Tacito e Seneca. Perché?
«Anch’io, al loro posto, avrei preferito Cicerone. Perché ha uno stile disteso, più semplice rispetto a Tacito, che, invece, usa una prosa contratta, ellittica. E tratta argomenti più facili da cogliere, quindi da tradurre, di Seneca, che è sempre più intricato, filosofico, quindi più complesso nell’interpretazione».
E poi il dizionario è pieno di frasi fatte...
«È vero anche questo. Capisco che nell’ottica dei ragazzi sia stato un elemento determinante; del resto per loro, soprattutto durante la maturità, vince la logica del minor sforzo, massima resa. Da giovane pensavo lo stesso, non lo nascondo. Col tempo ho imparato ad andare oltre. Cicerone rappresenta un modello di prosa, per questo nei dizionari sono frequenti le citazioni, frasi e anche stralci, dei suo brani».
«Clemenza e severità»: un commento sul significato.
«Scelta ben fatta. La versione è l’esposizione magistrale della civiltà del diritto, insegna l’equilibrio tra leggi e pene, severità con morale e senza vendetta. Anche qui Cicerone è un maestro, perché, ai suoi tempi le pene erano esemplari, pubbliche; ciononostante, offre una visione serena, oltre che molto attuale. Anticipa il pensiero di Beccaria ed è valida ancora oggi. Perfetta, quindi, per la maturità. Personalmente credo che sia la dimostrazione che il mondo antico è il software di quello moderno».
E la sua maturità?
«Ebbi meno fortuna. Primo: avevo tutte le materie da portare all’esame. Secondo: mi capitò Tacito per latino. Ma andò bene, mi pare otto».
Ovviamente.
«A dir il vero a scuola non ero il classico studente modello. Anzi. Ricordo che la maturità mise fine a tre anni di passione e venni rimandato all’ultimo anno in matematica. Una bestia nera».
Tutte le materie, ma non il cinese?
«Ai miei tempi il cinese non era proprio concepibile, si studiava all’università, in corsi rari e molto specialistici. Per noi era tanto avere il francese nel programma scolastico. Sembrerà banale, ma è la pura verità: il debutto del cinese di quest’anno è lo specchio del tempo che passa. Ma lo dico senza nessuna nostalgia, l’ho già provato coi miei figli».
In che senso?
«Giulia, che ora ha 24 anni, ha fatto come me il liceo Muratori di Modena, ma in una versione sperimentale, con molta informatica e poco greco.

Mentre mio figlio Fabio, che ha 21 anni, ha studiato a Vignola, dove per un periodo insegnai».
Anche suo figlio liceo classico?
«Sì, ma giuro di non aver influenzato minimamente le loro scelte. Avranno forse respirato la mia passione per l’antichità in casa, dal loro papà».

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