Volevano metterlo in mezzo, lui ha fatto centro. In una settimana ha ottenuto quello che molti corridori non riescono a conquistare in un'intera carriera: Amstel, Freccia e Liegi. Un tris da capogiro. Un tris che lo pone al vertice del ciclismo mondiale, come miglior interprete delle corse di un giorno, come erede naturale del nostro Paolo Bettini e di Michele Bartoli, suo grande idolo giovanile.
Philippe Gilbert da domenica è un uomo felice, perché ha ottenuto tutto quello che voleva, o meglio, quasi tutto. Voleva vincere la corsa delle corse, la Liegi-Bastogne-Liegi, la corsa per eccellenza, e l'ha vinta come avrebbe voluto vincerla: a braccia alzate, dopo aver annientato uno per uno i suoi avversari. Era l'uomo da battere, nessuno è stato in grado di farlo. Era l'uomo da seguire, tutti se lo sono fatti sfuggire.
Philippe Gilbert, 28 anni (Verviers, 5 luglio 1982), ragazzo vallone dal volto duro e gentile è ormai un "piccolo cannibale" per le classiche di un giorno. In carriera ha già vinto una Liegi-Bastogne-Liegi, una Freccia Vallone, due Parigi-Tours, due Giri di Lombardia e due Amstel Gold Race. «È stato il giorno più bello della mia carriera, una vittoria straordinaria, unica, capace di regalarmi emozioni incredibili - racconta -. Devo ringraziare la squadra che ha lavorato in maniera perfetta, ma devo anche rendere onore ai fratelli Schleck che hanno fatto la loro corsa e hanno cercato di vincere, nonostante sapessero che ero alla loro ruota».
Lei era l'uomo da battere. Come ha gestito la pressione che aveva sulle spalle?
«Sono stati dieci giorni difficili, a livello fisico e psicologico. Dal punto di vista fisico, posso dire che sto vivendo la miglior stagione della mia carriera: ho fatto di tutto per arrivare alle classiche delle Ardenne al 100% della condizione. Dall'inizio della stagione la mia forma è andata in crescendo, sapevo che domenica sarei stato forte. Ma per vincere, bisogna sapersi estraniare da tutto. Io volevo restare concentrato sui miei obiettivi, volevo restare a contatto con i miei compagni di squadra per creare un gruppo, per creare la giusta atmosfera. Siamo rimasti insieme per dieci giorni in un hotel di Maastricht, lontani dalla stampa. Ed è stato il modo migliore di procedere, perché ci ha consentito di pensare solo alle corse».
Il momento più importante della Liegi?
«Posso raccontare il più emozionante. Quando sono passato sulla Redoute, davanti ai miei tifosi, davanti alla mia famiglia che vive proprio ai piedi di quella salita: vi assicuro che in una carriera si vivono pochi momenti di questo genere, davvero speciali».
Momenti difficili in corsa?
«Sì, sulla salita della Haute Levée. La mia squadra non c'era in quel momento e abbiamo commesso un grosso errore. Mi sono trovato da solo e le altre squadre ne hanno approfittato attaccando. Per fortuna il Team Leopard ha collaborato con me per chiudere la fuga di una decina di uomini che poteva diventare pericolosa. Poi sul Saint-Nicolas, quando mi sono trovato con i fratelli Schleck, ho vissuto un altro momento delicato: non volevo subire i loro attacchi a ripetizione, così sono partito io e Andy si è staccato».
Quali i suoi prossimi obiettivi?
«Il campionato del mondo è un traguardo che mi fa sognare. E ho la fortuna che nel 2012 e nel 2013 ci sono percorsi molto adatti a me. E poi non ho mai vestito la maglia gialla al Tour de France: sarà questo il prossimo obiettivo. Quanto al prossimo anno, voglio rivincere la Liegi.
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