CICLISMO NEL DRAMMA

nostro inviato a Livorno

L’orgoglio e la dignità. Il Giro butta fuori a calci la retorica e l'ipocrisia, scegliendo spontaneamente di fare quello che ha sempre fatto: macinare chilometri e storie lungo l'Italia, tra la gente. Corridori, meccanici, direttori sportivi: tutti d'accordo, senza tante discussioni, senza chiacchiere superflue. Il lutto nell'anima, si ricomincia come chiede il papà stesso di Wouter Weylandt: «Ragazzi, non dovete crollare. State uniti, state vicini. Ripartite e portate in giro il ricordo di Wouter». Il team manager della squadra, Brian Nygaard, racconta il tormento e la dolcezza di una notte insonne, con tutti i compagni stretti attorno alla giovane moglie e ai genitori del ragazzo belga: «Oggi il ciclismo si comporta come una famiglia. Non è un giorno per stare soli».
Si riparte, nel modo giusto. Soltanto uno non ce la fa, proprio non ce la fa: l'americano Tyler Farrar, amicissimo di Wouter, anche se corre in un'altra squadra. Dice subito che in serata se ne andrà. Vuole stare vicino alla famiglia dell'amico. Non ha più testa e cuore per buttarsi in volata.
Tutti gli altri invece continuano. Ci provano. L'umanità dolente e afflitta, da sempre, in qualche modo ricomincia. Per un giorno, qui, si sceglie la tappa del ricordo. A Quarto, il gruppo si dispone in prossimità del via, lasciando spazio libero sulla linea. In tanti hanno un nastrino nero al braccio. Dice Contador: «E' una giornata tristissima, la più brutta tra quelle che ho passato in bicicletta». Dice Nibali: «Non c'è bisogno di tante parole. Credo che abbiamo trovato il modo migliore per onorare il nostro amico».
Pochi attimi prima dell'orario previsto, arriva in fila la squadra di Weylandt. Scroscia un applauso decoroso e sommesso. Poi il trombettiere dei bersaglieri suona il Silenzio. Infine, la partenza: liberatoria, emozionante. Nessuna gara: solo una lunga veglia itinerante, percorrendo il litorale ligure-toscano. A impressionare è ancora una volta la gente: italiani e turisti, di tutte le età e di tutte le provenienze, scendono in strada soltanto per esserci. Si vedono ovunque cartelli con il numero 108, il suo. Tra i tanti striscioni, ne spicca uno scritto con i caratteri dell'orgoglio estremo: «Questo è il ciclismo, dove le cadute non sono per simulazione».
Ogni squadra tira la propria parte di chilometri. Poi, entrando in Livorno, passa davanti quella di Wouter. Otto compagni con la stessa maglia, più un intruso con altri colori, l'amico del cuore, Tyler Farrar: spinti da un applauso silenzioso - incredibile come un applauso possa suonare silenzioso -, tagliano il traguardo in lacrime. Pochi minuti dopo sono sul palco tutti assieme, ascoltando ancora le note del Silenzio suonate dal trombettiere, unica musica possibile e tollerabile davanti a questa squadra, in una giornata come questa.
Lo sforzo richiesto però è superiore allo stato d'animo. I compagni tornano in albergo e cominciano a parlarsi. Troppo difficile la prova, troppo pesante. In serata, la decisione: non ce la sentiamo più. Chiedono di lasciare il Giro, vogliono accompagnare l'amico in Belgio, per il funerale. Permesso accordato, la Leopard abbandona la corsa. Comunque, non cambia il senso della giornata: una malinconica, struggente, bellissima giornata.
Impressione personale, opinione personale: ricordare Wouter Weylandt in questo modo si rivela omaggio straordinariamente più giusto e più toccante di qualunque fermata, magari trascorsa bighellonando in ciabatte nella hall dell'albergo. Onore ai ciclisti, che hanno molte colpe da farsi perdonare, ma un senso dell'amicizia da invidiare.
P.S.

: nella giornata dell'orgoglio e della dignità, stecca soltanto l'estenuante diretta di cinque ore proposta della Rai, una maratona grondante chiacchiere e retorica, che vanifica all'istante il rispettabile lavoro del giorno prima. E per fortuna che s'era scelta la linea del silenzio.

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