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Il ciclismo è sempre più nel caos «Almeno ci dicano chi comanda»

Stanga interpreta il malessere del movimento: «C’è bisogno di chiarezza»

Autocertificazioni con le quali ogni corridore dichiara di non avere procedimenti per doping in corso, né da parte della magistratura ordinaria né tantomeno da quella sportiva; esame del sangue, delle urine, disponibilità a fornire il Dna e a pagare un anno del proprio stipendio se beccati con le mani nella marmellata; reperibilità 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno per effettuare esami a sorpresa. «Avanti di questo passo ai ciclisti metteranno anche il braccialetto elettronico, come per i delinquenti in libertà vigilata», dice tra il serio e il faceto Beppe Saronni.
Il ciclismo è in uno stato di emergenza totale. Troppi sospetti e troppi sospettati. Tre «non negativi» al Giro per l’Uci (Mayo, Petacchi e Piepoli: tutti con il certificato, lo spagnolo già scagionato, i due italiani già ascoltati dalla commissione medica dell’Uci, in attesa dell’ok dal laboratorio di Barcellona: se il salbutamolo è stato inalato, tutto è a posto, se è stato iniettato, scatta la squalifica). Quattro i test effettuati dal Coni, sempre al Giro, che destano dubbi e perplessità (Di Luca, Mazzoleni, Riccò e Simoni: avrebbero il profilo ormonale di un bimbo, troppo pulito per essere verosimile). Per queste «anomalie» e per il problema dei «certificati», Petrucci, il capo dello sport italiano, ha scritto al numero uno del ciclismo mondiale, Pat Mc Quaid, chiedendo collaborazione: la lettera arriverà domani all’Uci, che sta anche lavorando su altri sette esami non chiarissimi e carichi di sospetti.
Petrucci chiede collaborazione, gli organizzatori del Tour chiedono chiarezza, il mondo del ciclismo però non ci sta. A cominciare da Gian Luigi Stanga, team manager della Milram, la formazione di Petacchi e Zabel. «I certificati sono troppi e destano sospetti? Bene, che li tolgano. Ho letto la lettera di Petrucci, posso in parte anche condividerla, ma si dimentica di una cosa: i certificati non li ha voluti il ciclismo. Sono stati introdotti dalla Wada, l’agenzia mondiale dell’antidoping, con il beneplacito dei comitati olimpici internazionali, tra i quali il Coni». Stanga non alza la voce, non fa la vittima, ma pone delle domande cercando di evidenziare alcune contraddizioni. «Vogliamo chiarezza? Ben venga, ma allora Petrucci e il suo Coni dicano quanti sportivi praticano sport con i “certificati”. Dica quanti sono destinati al ciclismo e quanti alle altre discipline. Se dobbiamo passare per uno sport di malati vogliamo dei numeri e dei riferimenti». E ancora, su quei quattro esami che fanno tremare il Giro d’Italia. «Io so solo che dopo tre settimane di corsa, al termine di una gara dura e micidiale come quella dello Zoncolan, è quasi normale che un atleta presenti esami anomali. Sapete cosa significa sostenere certi sforzi?». Infine, un augurio: «Spero che una volta per tutte si stabilisca chi comanda.

La Federciclismo, il Coni, la Wada o l’Uci?».

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