Il ciclismo spaccato sull’esame del Dna

Basso pronto a fornire il suo codice genetico, Bettini no

Pier Augusto Stagi

La confusione regna assoluta. È di ieri la notizia che vuole Ivan Basso disponibile all’esame del Dna. Il problema è che la sua disponibilità il vincitore del Giro l’aveva già data da tempo, tanto che il varesino a il Giornale, il 13 ottobre scorso, diceva: «Ad un test del Dna mi sono sempre reso disponibile e l’ho confermato anche davanti al procuratore capo del Coni Franco Cosenza, ma a condizioni ben precise: che le sacche siano state ben conservate; che non siano state manipolate dall’esterno; che sia stata usata l’esatta procedura di scongelamento; che la sacca sia, per decisione del giudice, certamente attribuibile ad un individuo identificato. In parole povere il giudice deve dirmi “il sangue è tuo”, e sarò io a dimostrare il contrario».
In pratica quello che Johan Bruyneel, l’uomo che ha avuto una parte fondamentale in tutti i trionfi di Lance Armstrong, ha dichiarato ieri a La Gazzetta dello Sport: «Ivan lo aveva accettato, attraverso il suo avvocato (Massimo Martelli, ndr) ancora prima di firmare. Voleva solo essere certo che le garanzie previste dalla legge fossero rispettate».
E il problema sta proprio qui: nella legge. Chiarissimo l’avvocato Enrico Ingrillì, che dal 1997 al 2002 è stato presidente dei corridori italiani e ha anche recentemente partecipato alla Camera di conciliazione del Coni per gli arbitrati di Calciopoli. «Nessuno statuto dei lavoratori prevede che, per aver l'accesso al lavoro, si debba essere disponibili a fare il test del Dna. Questa è una limitazione professionale. Quindi, i corridori non possono essere obbligati a sottoscrivere un contratto con un vincolo simile. Anzi, nel caso si trovassero nella condizione di doverlo fare, possono fare ricorso all'Antitrust, sia italiana che dell'Unione Europea a Bruxelles. Ivan ha dato il suo assenso? se è una scelta personale ha fatto benissimo».
Contro si era schierato anche l’iridato di Salisburgo, Paolo Bettini: «Rendere obbligatorio il test del Dna è inaccettabile. Lo fanno solo ai serial killer, forse chi vuole questo guarda troppi telefilm...». Ma per l’iridato uno spiraglio c’è: «A meno che uno non voglia farlo di sua spontanea volontà, per dimostrare la propria innocenza davanti ad un dubbio. E allora tanto di cappello».
Possibilista Vittorio Adorni, mondiale a Imola ’68, presidente del professionismo mondiale, da qualche settimana assessore allo sport di Parma.

«Probabilmente la legge vieta un test simile, ma è giusto parlarne: fa bene al ciclismo e ai ciclisti. Il nostro movimento rischia grosso e le squadre che temono di perdere gli sponsor, qualcosa dovevano pur fare. Ben venga la disponibilità di Ivan: è importante».

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