Ciclismo

Cordiano Dagnoni: "Senza team e personaggi al ciclismo serve aiuto"

Dopo decenni al top, ritirato Nibali manca il campione universale. Il n°1 federale tra problemi e soluzioni

Cordiano Dagnoni: "Senza team e personaggi al ciclismo serve aiuto"


Se un presidente federale fa visita a un giornale, qualsiasi presidente, qualsiasi giornale, compie un atto di eleganza e vera cortesia. Se un presidente federale arriva senza poter esibire troppe corone d’alloro e medaglie prestigiose al collo, oltre che cortese si rivela coraggioso. Se un presidente federale si presenta mentre altre federazioni e altri presidenti fanno incetta di ori e vittorie, oltre che cortese e coraggioso è probabilmente incosciente o pronto a tutto per cambiare qualcosa nel suo mondo. Cordiano Dagnoni, numero uno della Federciclismo, è tutto questo, e quel che doveva essere un colloquio informale diventa formale, on the record.

Dagnoni ha voluto subito chiarire che il via libera federale dato all’applicazione di una quota di iscrizione di 5 euro nelle gare giovanili, decisione che aveva creato un bailamme su molti media e su tutti i social, recepiva semplicemente quanto chiesto proprio da tutti i comitati regionali eccetto quello della Toscana. Il Giornale, sempre molto addentro alle vicende ciclistiche grazie al nostro Pier Augusto Stagi, cronista documentato e coraggioso (ricordiamoci l’inchiesta sul me -too nel ciclismo che nell’estate del 2019 innescò un meccanismo virtuoso che portò a cambiare cose), aveva evitato di infierire sul presidente «in quanto la quota d’iscrizione veniva da tempo chiesta dai comitati e per di più l’applicazione era facoltativa... forse siamo solo arrivati un po’ sotto l’inizio della stagione» ha tenuto a precisare Dagnoni nell’incontro.

Chiarito un problema, più complicato risolvere altre questioni come il tema più spinoso dell’assenza di un erede di Vincenzo Nibali. Dopo lo Squalo non abbiamo più un corridore universale, da Giri, Classiche. E fra le federazioni più importanti, pensiamo a nuoto, atletica, tennis, quella ciclistica è al momento la più in difficoltà e ha smesso di produrre successi in serie.
Scorrere l’albo d’oro del Giro provoca dolore: da fine anni ’90 al 2016, ultima vittoria di Nibali, gli italiani re della corsa rosa erano un esercito i cui nomi si alternavano e ripetevano, Pantani, Gotti, Savoldelli, Simoni, Cunego, Basso solo per citarne alcuni. Ora è il vuoto.

«Non sono d’accordo, non è proprio così» fa notare Dagnoni, «la verità è che non abbiamo il personaggio: se ci pensate, Nibali è stato molto più campione di Pantani o Cipollini, ma ancor oggi quando parli ai ragazzi molti ti tirano fuori proprio il Pirata...». Chiaro riferimento al fenomeno Sinner nel tennis. «Da presidente ho avviato un’analisi sulla media annua delle medaglie ottenute nei 16 anni della precedente gestione ai mondiali, Europei e Olimpiadi: era 45 l’anno. Nel mio primo anno sono state 97, nel secondo 130 e nel terzo 121. Abbiamo vinto in tutte le categorie, dalla velocità su pista al ciclocross alla Bmx al ciclismo artistico con le sue evoluzioni. Abbiamo dato attenzione e risorse a tutti».

Una mozione dell’orgoglio, quella di Dagnoni, che però si scontra con l’evidenza che a mancare alla gente sono le vittorie che contano, con tutto il rispetto per il ciclismo artistico. E poi: mettiamo anche che Nibali non fosse un personaggio, ma quando vinci il Tour, è il Tour stesso che ti fa indossare il mantello da super uomo e trasforma in personaggio. E qui le pecche federali nel non aver saputo sfruttare i personaggi sono più di chi l’ha preceduto, l’ex n°1 Di Rocco. Basti pensare a quanto fatto da Angelo Binaghi, collega di Dagnoni al vertice della federtennis, mentre Berrettini, Sinner e ora la Paolini sbocciavano.

Le Atp Finals a Torino ne sono la riprova. Su una tipicità unica del ciclismo Dagnoni ha però ragione: «Nell’under 23 siamo primi nel ranking della coppa del mondo come squadra, non avremo il top, però se il team svetta vuol dire che i nostri corridori sono tutti bravi. Poi il talento che esce dalla federazione va tutelato quando è in squadra, quando inizia il professionismo. Il nostro vero neo è non avere una squadra italiana nel worldtour, costi ormai proibitivi, minimo 20 milioni l’anno, 40-50 per stare al vertice, squadre Stato, Astana, Bahrein, Emirates, Uae... Così i nostri talenti si ritrovano a tirare per gli altri. Un tempo succedeva il contrario, un tempo, mi ricorda Roberto Amadio (ex ds di grandi squadre, fra queste la Liquigas, e ora dirigente federale) quando si trovava per le mani due talenti, uno italiano, vedi Nibali, e uno straniero, alla fine lasciava andar via lo straniero per lanciare il nostro. Ora nelle squadre straniere succede l’esatto contrario».

C’è molto, ma molto da fare. E Dagnoni sa che la sua rielezione a fine anno si giocherà su quanto realizzato. «Dobbiamo lavorare sull’impiantistica... Ho provato a sensibilizzare il governo per trovare sponsorizzazioni per la maglia della nazionale, ho chiesto al ministro Abodi di ragionare sul credito di imposta per le aziende che investono nel ciclismo, ma al momento siamo fermi... Abbiamo aumentato i ritiri, investito in ricerca e sviluppo, lavorato in galleria del vento con ingegneri di F1, abbiamo persino un bellissimo progetto di ristrutturazione dell’ex velodromo olimpico all’Eur per creare un’arena polivalente tra noi e l’atletica: velodromo regolamentare di 250 metri con all’interno la pista di atletica indoor di 200. Ma è chiaro: servono soldi».

Difficile però pensare che arrivino oggi dal governo. E così si torna a bomba sulla singolarità del ciclismo. «Abbiamo il doppio di praticanti del calcio» dice con orgoglio misto a dispiacere, «siamo il terzo sport più praticato, dopo palestre e running, dati Nielsen, solo che non abbiamo l’equivalente in tesserati, solo che se si vuole giocare a tennis ci si deve iscrivere a un campo, da noi si prende una bici e via... Anche per questo, oltre a convenzioni con sconti per chi si tessera, 20% all’Autogrill, 30% con Enervit, stiamo promuovendo assicurazioni (“Gente di Bici”, con Generali e Decathlon) per chi pedala. Una tesserina da 10 euro che da una parte tutela e dall’altra fa emergere quanti sono veramente i ciclisti». Un’idea, per di più col traffico di oggi.

«Già, io stesso, genitore, oggi avrei paura se mio figlio andasse su strada».

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