Cina alla carica nella guerra delle monete

Gli incontri annuali del Fondo monetario internazionale, in programma da oggi a Washington, rischiano di essere teatro di una corrida valutaria. Le premesse ci sono tutte: alla vigilia della convention, la Cina ha già dato fuoco alle polveri prendendo una posizione che risulterà assai sgradita a quei Paesi, Stati Uniti e Unione europea in testa, da tempo in pressing per convincere Pechino a rivalutare lo yuan. Il premier cinese Wen Jiabao, la pensa però diversamente: i tassi di cambio delle maggiori riserve di valute possono essere mantenuti «relativamente stabili», ha detto ieri. La decisione presa nel giugno scorso dall’ex Impero Celeste di rendere maggiormente flessibile il reminbi appare, una volta di più, come un provvedimento di facciata, teso a tacitare le voci di quanti accusano la Cina di esercitare un vero e proprio dumping valutario per agevolare le esportazioni.
Il clima è dunque già sufficientemente teso all’inizio di una settimana che culminerà nel weekend con un vertice dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali del G7 e con le assemblee delle istituzioni di Bretton Woods. Né le ombre che continuano a gravitare su una ripresa incapace di far ripartire il mercato del lavoro, né le recenti tensioni che hanno percorso il mercato dei cambi, con il Giappone intervenuto per contrastare l’apprezzamento dello yen, facilitano l’esercizio della diplomazia. Qualche giorno fa il ministro brasiliano delle Finanze, Guido Mantega, non ha esitato a parlare di «guerra valutaria globale» in corso. E a molti appare evidente che Pechino non stia facendo nulla per interrompere le ostilità. Gli Stati Uniti non escludono infatti azioni di rappresaglia: la Camera ha infatti già approvato un progetto che concede all’Amministrazione Clinton la possibilità di imporre sanzioni alla Cina per lo yuan sottovalutato. Obama è stato chiaro: «Se faccio pressione sulla Cina in merito alla sua valuta, è perché questa valuta è sottovalutata. Non è questa la ragione principale del nostro deficit commerciale ma ciò contribuisce al nostro deficit commerciale». Al pugno duro Usa ha replicato Wen Jaibao, indicando la necessità di evitare le tendenze protezionistiche a suon di misure antidumping, un messaggio rivolto anche alla Ue. «È necessario assicurare una cooperazione stretta fra noi per sostenere il commercio mondiale e poter lottare contro il protezionismo».
Oltre al nodo valutario, gli incontri serviranno anche per un check-up sullo stato di salute dell’economia mondiale che, secondo le bozze del World Economic Outlook, dovrebbe crescere nel 2010 del 4,6% e del 4,3% nel 2011 (per l’Italia, rispettivamente, +0,9 e +1%).

Il Fondo punterà l’attenzione anche su quello che ancora resta da fare per completare la riforma finanziaria in vista del G20 di metà novembre a Seul. Basilea 3 - osserva il Fmi - va indubbiamente verso una trasformazione delle regole e di una riduzione dei rischi di liquidità.

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