Cina, quella condanna Ue che Prodi finge di ignorare

Con l’ultima risoluzione il Parlamento europeo denuncia la costante violazione da parte di Pechino dei diritti umani, religiosi e del lavoro

Raffaela Scaglietta

da Roma

La Cina è diventata la nostra metà del cielo. E il fatto che quasi tutta la corte di Palazzo Chigi e il mondo del business italiano siano in viaggio nell’Impero di Mezzo ne è la prova. La Cina è il primo partner strategico dell’Unione Europea, il suo primo partner commerciale, nel 2005 le sue riserve di valuta valevano circa 819 miliardi di dollari e per la fine del 2006 potrebbero arrivare a 1.000 miliardi di dollari. È un Paese con un immenso potenziale e grandi progetti. Ma con non pochi difetti al suo interno: la censura, l’abuso dei diritti umani, dei diritti sociali e religiosi. E prima di tutto l’ambizione di conquista del commercio internazionale, anche a dispetto delle regole. Attenzione quindi alla «tigre d’Oriente» e al suo processo di democratizzazione interno.
È questo il senso della risoluzione Ue approvata nell’ultima sessione parlamentare di Strasburgo, votata anche dall’onorevole Occhetto ma bocciata dal gruppo dei socialisti perché il documento che attacca il Celeste impero ha un taglio troppo «umanitario». Eppure le accuse mosse al governo di Pechino sono più che circostanziate e non riguardano diritti di secondo piano. Così nella risoluzione si denuncia che il numero delle esecuzioni capitali in Cina è coperto dal segreto di Stato anche se è certo che ogni anno vengono giustiziate almeno 8.000 persone. E che l’abolizione della pena capitale per ora non è neppure ipotizzabile. Le restrizioni alla libertà di pensiero colpiscono anche internet e si cita l’esempio di Google, il motore di ricerca che si è piegato alle restrizioni imposte dalle autorità cinesi, negando l’accesso ai siti web che contengono elementi di critica e parole come «Taiwan», «indipendenza», «Tibet» o «Tienanmen». Anche più gravi sono le notizie che giungono su casi di oppressione politica con la carcerazione nei confronti di chi appartiene a minoranze religiose ed etniche, di presunte torture, di ricorso diffuso al lavoro forzato. Oltre la Grande muraglia, affermano i parlamentari europei, non sono rispettate la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.
Pesante anche il capitolo sulle limitazioni imposte a chi professa una fede, con i luoghi di culto considerati illegali e membri della Chiesa cristiana perseguitati. Mentre prosegue la campagna a base di arresti condotta nella regione autonoma dello Xinjiang Uygur (una zona di cultura musulmana ad ovest della Cina) portatrice di tre «mali», secondo Pechino: estremismo, separatismo e terrorismo. Per non parlare delle discriminazioni in Tibet.
Il Parlamento esprime poi la propria preoccupazione per la spaventosa discriminazione socioeconomica di cui sono vittime in Cina i 150 milioni di lavoratori migranti provenienti dalle campagne; per gli aspri provvedimenti adottati dalle autorità nei confronti degli «agitatori» dell’accademia delle scienze sociali di Pechino, richiama l’attenzione sul lavoro infantile e sulle pessime condizioni di lavoro cui sono soggetti i lavoratori minorenni nel Paese, sebbene le leggi cinesi vietino il lavoro infantile. Crescita economica, d’accordo, ma attenzione anche all’emissione di CO2 causate dalla sua forte produzione. Alla Cina serve anche una crescita politica e i parlamentari europei sottolineano: «Fintanto che il partito comunista cinese non sarà soggetto alle regole di uno Stato costituzionale, esso rimarrà uno Stato dentro lo Stato e sarà pertanto estremamente vulnerabile a gravi episodi di abusi di potere, come la piaga nazionale della corruzione dei quadri dirigenti».
Problemi enormi che non paiono essere però al primo posto nell’agenda del Professore da ieri in missione d’affari in Cina.

Così che pare più che giustificato l’appello lanciato ieri da Antonio Tajani, capogruppo di Forza Italia a Strasburgo: «Prodi non perda l’occasione per farsi carico del delicato problema dei diritti umani. Non nasconda la testa sotto la sabbia e ricordi di essere stato presidente della Commissione. Non scelga di essere europeista solo quando fa comodo».

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