Economia

Cina, salta la polveriera dei salari. Rischio inflazione

Hong KongAi cinesi lavorare in fabbrica per oltre 100 ore alla settimana contro uno stipendio che difficilmente supera i 200 dollari al mese non basta più. Ma più degli scioperi dei lavoratori della Honda, ad attirate l’attenzione dell’opinione pubblica della vicina Hong Kong, che dopo essere stata protettorato britannico gode di uno statuto speciale fino al 2047, sono i suicidi della Foxconn. Il maggiore produttore terzista per pc e apparati tecnologici del mondo che ha fatto del proprietario Terry Gou una delle persone più ricche di Taiwan.
Un suicidio e un altro dipendente salvato in extremis in una sola settimana (e 11 nel corso dell’anno) sono troppi anche per una società che ha 800mila dipendenti, di cui la metà impiegata nelle catene produttive a ritmi forzati di Shenzhen, la città che si trova a solo un’ora di auto da Hong Kong che è il cuore pulsante della produzione cinese. Foxconn, che produce gli iPhone e gli iPad di Apple, ma anche i pc per Dell e Hp, secondo un report pubblicato dal quotidiano di Hong Kong South Cina Morning Post arriverebbe a pagare i dipendenti anche meno di 100 dollari al mese obbligandoli per arrotondare a turni massacranti: fino a 12 ore di lavoro senza poter parlare, con tempo limitato non solo per mangiare ma anche per andare in bagno. Ovviamente le ferie pagate non sono previste, come neppure la tredicesima mensilità.
Tutto è legato al profitto, così alcuni per guadagnare di più fanno anche gli straordinari lavorando sette giorni alla settimana rinunciando al sabato e alla domenica liberi. «Questi ritmi - ha spiegato il professor Wang Xiangqian, del China institute of industrial relation - portano i lavoratori in uno stato profondo di depressione, anche perché spesso sono migranti che arrivano dalle province più lontane e povere della Cina. Ma c’è anche un altro problema: i lavoratori infatti non vedono vie d’uscita. Per questo è necessario creare, anche in Cina, un sindacato forte e indipendente che riesca a contrattare delle condizioni di lavoro più umane per i lavoratori».
Se professori e studenti universitari stanno facendo sentire la loro voce per far capire che così non è possibile andare avanti, le autorità di Pechino sono preoccupate per le conseguenze che un aumento dei salari dei lavori di base comporterebbe per l’intera economia cinese, oggetto di una forte crescita, ma anche per quella mondiale.
La crescita dei salari, infatti, comporterebbe anche un aumento dell’inflazione e conseguenze negative soprattutto per quelle aziende, come Apple (nei giorni scorsi ha superato Microsoft per valore di mercato), che sono riuscite a conseguire alti profitti proprio grazie ai bassi costi di produzione reperibili non soltanto sotto la Muraglia, ma anche in altri Paesi emergenti come il Laos o il Vietnam. Certo, non tutte le aziende a Shenzhen trasformano in un lager il posto di lavoro. Huawei, la società di apparati per tlc che sta cercando di portare via all’europea Ericsson il primato per l’istallazione di reti mobili di quarta generazione (Lte), mostra con orgoglio ai visitatori stranieri il campus per i dipendenti (90mila) che prevede una enorme piscina con idromassaggio, tavoli da ping pong a pioggia e appartamentini stile residence al posto delle camerate a 10 posti letto della vicina Foxconn.
«I nostri dipendenti sono però molto più qualificati di quelli di Foxconn e, dunque, lavorano di più - spiega Ross, gran capo della comunicazione mondiale di Hauwei -: nella maggioranza sono ingegneri che prendono uno stipendio iniziale di circa 700 dollari americani». Insomma, non male potrebbe pensare qualcuno, ma anche in questo caso il costo del lavoro rispetto ad Europa e Stati Uniti è ridotto: gli oneri sociali pesano, infatti, per solo il 10% e le ferie non superano i 12 giorni l’anno.

In compenso Huawei è cresciuta del 19% nel 2009 e prevede qualcosa di simile anche per il 2010, ma il ritmo sarà difficilmente sostenibile nel lungo periodo.

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