Cultura e Spettacoli

Il cinema chiama Rutelli, lui risponde per lettera

Barbagallo: la legge Urbani è stata utile a mettere fine all’assalto ai fondi pubblici

Michele Anselmi

da Roma

«Il cinema d'autore chiama Rutelli», ma Rutelli risponde per lettera. Posti in piedi, ieri pomeriggio alla Casa del Cinema, dove MicroMega presentava il suo «Almanacco del cinema italiano». L'idea di Paolo Flores D'Arcais era semplice ed efficace: un confronto diretto tra il ministro e il mondo del cinema, non solo sulla nuova legge. In tanti sono arrivati sotto la pioggia, da Cristina Comencini a Carlo Lizzani, da Marco Tullio Giordana a Paolo Sorrentino, da Alessandro Haber a Furio Scarpelli; solo che il vicepremier non s'è materializzato. «Impegni fuori Roma precedentemente presi». Sicché, alla platea delusa, il moderatore Mario Sesti ha letto un messaggio inviato da Rutelli, una ventina di righe, il cui senso si può riassumere così: «Condivido l'obiettivo di liberare l'impresa cinematografica da norme che hanno oscurato parti fondamentali della creatività, della sperimentazione e dei valori che hanno rappresentato i pilastri del cinema italiano nel mondo». Inoltre: signori, i soldi non ci sono, avendo «tutti i settori dello spettacolo subito un taglio di quasi il 50 per cento durante il governo Berlusconi», ma vedremo di strappare risorse con la nuova Finanziaria. Auguri di buon lavoro. Messaggio generico, e però è bastato a garantire un applauso di incoraggiamento. Anche se Citto Maselli, instancabile organizzatore di cine-battaglie «democratiche», ha subito aperto un altro fronte scomodo: «Gira voce che Alberoni sia stato riconfermato sotto banco alla presidenza del Centro sperimentale. Sarebbe una vergogna». Il bello è che stavolta non si può dare la colpa a Berlusconi.
Per il resto, l'incontro ha oscillato, con qualche punta abrasiva, tra orgoglio e vittimismo, tra «adesso si cambia» e «Unione non deluderci». Punto di partenza, l'ormai famosa lettera aperta a Rutelli con la quale Paolo Benvenuti, appartato regista pisano di film d'arte come Confortorio e Il bacio di Giuda, si dichiarava vittima di un'ingiustizia. Un suo progettato film su Giacomo Puccini non è piaciuto alla commissione ministeriale, pronto a bocciarlo, in base a un punteggio automatico, «per mancanza di requisiti idonei». Il regista non ci sta, accusa la riforma Urbani di voler punire «il cinema puro», insomma quegli autori che sperimentano e rischiano, in nome del mercato e del «volgare standard realistico-televisivo-pubblicitario». «Il mio è un caso emblematico», ha tuonato ieri Benvenuti, augurandosi che col nuovo governo la musica cambi. Ma Gaetano Blandini, responsabile della Direzione cinema, ha ribadito: «Essere esclusi fa parte del gioco. Certo, le commissioni possono sbagliare, il problema è farle sbagliare meno». Meno di quanto successo nell'ultimo decennio, sia col centrosinistra sia col centrodestra. Del resto, se nel 2005 le risorse pubbliche destinate al cinema d'autore ammontavano a 76 milioni di euro, quest'anno si è scesi a 43. L'imperativo, dunque, è: scegliere bene. E qui vai a mettere d'accordo tutti. Vero è che, rischiando di irritare la platea tutta pro-Benvenuti, il produttore Angelo Barbagallo, socio storico di Nanni Moretti, ha scandito una semplice verità: «Certo che servono più soldi e nuove regole. Ma stiamo attenti a non ricadere nell'assistenzialismo, a non fare barricate insensate. La legge Urbani, che pure non amo, è servita a fermare l'assalto alla diligenza.

Sono state sperperate cifre enormi, grazie a un sistema che ha drogato e rovinato l'industria cinematografica». Come dargli torto?

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