«Il cinema? Non so ancora se lo farò da grande»

«Non credo di avere un grande potere commerciale, ma sono uno che riesce ad alleggerire anche le storie più cupe. Comico? No, casomai mi sento buffo»

da Deruta (Perugia)

Asciutto e sorridente, Fabio Volo gira il suo terzo film dopo Casomai e La febbre. I problemi di fegato sono alle spalle, lo sguardo è tornato vivace. Sul set, capelli cortissimi, barba appena accennata e cappottino nero da avvocato di grido, il 33enne attore-intrattenitore bresciano è il beniamino di tutti.
Ancora un trentenne messo in crisi dagli eventi.
«Ma è un'altra storia. Qui non c’è di mezzo la famiglia che logora o la burocrazia che asfissia. Sono un avvocato: prima aggressivo e sicuro, poi sdrucito e vulnerabile. Un uomo di fronte a un bivio. La malattia lo riassetta. Che poi non è nemmeno una malattia. È un’attesa, un Sabato del villaggio».
Che fa, cita Leopardi?
«Diciamo allora che Lorenzo mi appartiene. Anch’io, anni fa, ho subito uno shock addizionale, di quelli che ti spingono a cercare un grado superiore di consapevolezza e ti rimettono in carreggiata. Mi piace la ricerca di un senso più profondo dell’esistenza. Dedico questo film a chi rinvia sempre le cose da fare: e invece no, certe cose bisogna affrontarle a tempo debito».
Tv, radio, romanzi, film. Eclettico e star.
«Io non impongo mai niente. Non credo di avere un gran potere commerciale. Semmai ho un potere “di faccia”. Sono uno che riesce ad alleggerire le storie più cupe. Al cinema sembra funzionare, ma non ho ancora capito se è il mestiere che farò da grande».
C’è un nuovo libro in arrivo, vero?
«Sì, esce a marzo, si chiama Non troppo lontano. A suo modo, un romanzo di formazione».
A vederla sul set, verrebbe da definirla «malincomico», per usare un fortunato neologismo.
«Non mi sento mai comico. Del resto, neanche Troisi lo era in senso stretto. Semmai sono buffo. Una via di mezzo tra una risata e un occhio lucido. I miei modelli sono Adam Sandler, Jim Carry, Tom Hanks. E anche l’Alberto Sordi di film come Detenuto in attesa di giudizio. Detesto fossilizzarmi».
Farà un terzo film con D’Alatri?
«Vedremo. Sono suo amico. È un combattente nato. Il sub comandante Marcos del cinema italiano».
Guarda molta tv? In fondo viene da lì.
«Ho visto la prima puntata di Celentano e metà della seconda. È un cantante che parla. Va bene che ci sia. Però la tv mi pare un po’ incattivita, aspetto che arrivi la pace.

Nel frattempo ho sistemato il televisore in una stanza dove non vado quasi mai»
Rifarebbe Le Iene?
«Sono bravi. Ma non sono più adatto a quel programma. Sarà perché, crescendo, apprezzo sempre meno la distinzione netta tra Bene e Male».

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