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Il cinema di Sorrentino è un giro intorno a Dio

Nella Grazia, come in altri film come Il Divo, la religione cattolica si presenta come apparato scenico

Il cinema di Sorrentino è un giro intorno a Dio
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Il cinema di Paolo Sorrentino è un lungo giro intorno a Dio. Non per incontrarlo, ma per constatarne l'assenza. Il sacro sembra archiviato, ma riaffiora in forme inattese: un rito svuotato, una parodia, una nostalgia, una ferita. Fino a diventare, oggi, un titolo che racchiude tutto: La Grazia. Nella Grazia, come in altri film come Il Divo, la religione cattolica si presenta come apparato scenico. Il presidente della Repubblica Mariano De Santis, protagonista della Grazia, si muove (anche) tra paramenti e incenso, senza fede. È la liturgia ridotta a scenografia, non così dissimile dalla scenografia della politica. Nella Grande bellezza, la mondanità romana si consuma in feste e chiacchiere. Una santa decrepita, quasi ridicola, porta l'unica parola essenziale. Il sacro sopravvive nella sua inutilità, in una società indifferente. Con la serie Young Pope, il sacro diventa caricatura. Ma persino la parodia conserva la memoria dell'originale. È stata la mano di Dio riporta la fede alla radice popolare. Maradona come santo protettore, la tragedia familiare come catechesi. Infine, la Grazia, cioè il dono. Non è una illuminazione divina. È una Grazia all'altezza di una società incapace di credere: "La Grazia è la bellezza del dubbio" dice il presidente. Ma anche di superarlo, visto che subito dopo annuncia di aver firmato alcuni provvedimenti, tra cui una legge sull'eutanasia, che non lo convincevano fino in fondo. La Grazia, infine, è il sentirsi liberati, leggeri, fluttuanti in assenza di gravità, come nell'ultima scena del film. Il percorso di Sorrentino si può leggere, tra le altre cose, come una liturgia capovolta: dal rito senza fede alla Grazia, passando per la nostalgia di Dio. È una via negativa.

Non è un discorso sulla fede, ma sull'impossibilità di cancellarne le tracce. Sorrentino lascia che parli il vuoto. E così proprio l'autore più accusato di estetismo finisce per darci un breviario. Una messa senza fede è pur sempre una messa. In attesa della Grazia, quella di Dio.

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