
La storia di una grande amicizia e della passione per il proprio lavoro. È questo il tema universale di Albatross, il nuovo film di Giulio Base, da giovedì nelle sale, che l’ha scritto e diretto oltre ad essersi ritagliato un cameo fondamentale. Ma l’Albatross del titolo è la vera e reale Albatross Press Agency fondata, nel 1983, da Almerigo Grilz, il giornalista protagonista del film, insieme ai due inviati di guerra del Giornale Fausto Biloslavo e Gian Micalessin con i quali ha condiviso la militanza nel Fronte della Gioventù triestino alla fine degli anni settanta. Trieste, terra di confine violata e sempre da difendere, è il legame che tiene uniti profondamente i tre colleghi impegnati in reportage soprattutto nelle zone di guerra dove Almerigo Grilz, il più grande del gruppo – classe 1953 – che ha fatto politica anche come dirigente del Movimento Sociale Italiano, riusciva a riprendere con la sua macchina fotografica e, soprattutto con la videocamera, le battaglie più aspre. L’ultima, per lui fatale, tra i miliziani della Renamo e l’esercito governativo in Mozambico dove cade, centrato in testa da un proiettile, il 19 maggio 1987.
Di fronte a un personaggio come Almerigo Grilz, controverso perché profondamente anticomunista, anche Giulio Base all’inizio – parliamo del 2019 – ha avuto delle remore: «Quando Gennaro Coppola della One More Pictures, con cui avevo già fatto dei film, mi ha proposto questa storia ho procrastinato, un po’ perché vedevo delle spinosità poi perché, come c’è scritto nel mio status di WhatsApp, io “sto studiando”. Così mi sono documentato e ho cominciato a capire che effettivamente questo personaggio era giusto che fosse raccontato. E allora ho deciso di scrivere, però non mi veniva una chiave e non volevo fare un biopic classico». Poi la scintilla «leggendo un’introduzione di Tony Capuozzo che, sapete tutti, ha militato nel Partito Comunista e poi extraparlamentare, in cui scriveva che, pur essendo lontanissimo delle idee di Almerigo Grilz, bisognava dare rispetto a quest’uomo che è stato il primo reporter morto sul campo dopo la fine della Seconda guerra Mondiale».
Ecco l’idea di iniziare il film con gli scontri a Trieste nel 1977 tra fascisti, all’urlo di «Boia chi molla al grido di battaglia », e comunisti che rispondono con «Fascisti, carogne, tornate nelle fogne», ma con le due fazioni menate indistintamente dalla polizia. In quel frangente Almerigo Grilz, interpretato da Francesco Centorame sempre con la barba, scappa insieme a un suo nemico, il personaggio del giornalista di sinistra Vito interpretato da giovane da Michele Favaro. I due si trovano accomunati dalla repressione del sistema, in un incontro che non aprirà a un’amicizia ma sì a una simpatia e a una curiosità reciproca al di là della contrapposizione ideologica. Tanto che la sceneggiatura immagina Vito da grande, interpretato autorevolmente da Giancarlo Giannini, tornare a Trieste per votare sulla concessione o meno di una targa dedicata a Grilz nella sede dell’Ordine dei Giornalisti. In questo contesto Giulio Base, che ha coinvolto e ascoltato nello stesura della sceneggiatura Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, si ritaglia il ruolo di un giornalista militante di sinistra che snocciola tutte le accuse sul passato di picchiatore di Grilz e sulla sua militanza politica nell’estrema destra che si rifletteva nelle guerre che decideva di seguire.
Ovviamente la realtà è sempre più complessa delle parole che inchiodano una vita e il film lo mostra bene così come l’intervento del Cardinal Zuppi, proiettato ieri durante la conferenza stampa, in cui dice che si tratta di «una storia importante, di un uomo coraggioso che faceva conoscere quello che era nascosto. Davvero dobbiamo a lui la conoscenza di una realtà, quella del Mozambico, e il coraggio di andare e rischiare la vita». Basterà questo per evitare le polemiche per un film su un giornalista di destra? Risponde Base: «Se non mi aspettassi le polemiche, sarei un illuso. Un vostro collega mi ha scritto in privato «Leni ce l’ha fatta, vediamo tu dove arrivi.
Leni ovviamente è Riefenstahl. Mi auguro però che le critiche vengano dopo aver visto il film perché col pregiudizio si fanno dei danni». Oppure, più semplicemente, basta seguire il consiglio di Giancarlo Giannini: «Futtitenn!».