Botteghini vuoti e tasche piene: il paradosso degli attori che accusano il governo

L'élite cinematografica è insorta contro le politiche del ministero della Cultura per la revisione del Tax Credit e ora accusa il governo di non volerla al tavolo

Botteghini vuoti e tasche piene: il paradosso degli attori che accusano il governo
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Ormai da mesi il cinema italiano è agitato dalla protesta dei suoi protagonisti che si lamentano per la limitazione delle erogazioni dopo anni di rubinetti spalancati e milioni di euro dati, spesso in maniera fin troppo generosa.L'oggetto del contendere è il controverso meccanismo del Tax Credit, su cui il governo Meloni ha acceso un faro, promettendo maggiore trasparenza e un freno agli sprechi che, per anni, hanno permesso a pochi eletti di intascare milioni di euro a fronte di "flop" clamorosi in sala. I numeri sono stati snocciolati molte volte: migliaia e migliaia di euro versati a fronte di incassi miseri che rispecchiano, purtroppo, un modo di fare cinema che non può essere più sostenibile per la stessa industria. Il "circolino" cinematografico formato sempre dagli stessi nomi, gli esponenti del radical-chic nostrano che amano dichiararsi di sinistra ma anche godere dei privilegi che gli incassi del cinema permettono loro.

L'ultimo ad aver alzato la voce contro le politiche del ministero della Cultura guidate da Alessandro Giuli, che sta portando a termine il lavoro iniziato dal suo predecessore, Gennaro Sangiuliano, è Pierfrancesco Favino, esponente dell'élite cinematografica, il quale ora vuole vestire i panni del pontiere che suona il citofono del governo senza che però nessuno gli apra. "È da molto tempo che chiediamo di sederci a quel tavolo, ma a quel tavolo non ci vogliono vedere seduti con loro per cui a questo punto non è un dialogo ma un monologo...", ha dichiarato l'attore a Torino a margine della proiezione del film Il Maestro, in occasione delle Atp Finals. Ma pochi giorni prima a far sentire (ancora) la sua voce era stato Elio Germano dal pulpito di Report, dal quale ha accusato il governo di aver tagliato i fondi per il cinema. Ha definito "grave" il fatto che un ministro "faccia dei nomi" e consideri la situazione del cinema come florida, suggerendo o una mancanza di dati oggettivi o una "forma di propaganda". Ma da Fratelli d'Italia hanno ricordato all'attore che "intanto i suoi film hanno ricevuto, negli ultimi anni, oltre 13 milioni di euro di finanziamenti pubblici".

Il cinema non può (più) essere un banchetto imbandito per i soliti noti. Chi ha beneficiato di milioni di euro pubblici dovrebbe forse mostrare meno indignazione e più umiltà, e magari proporre lui stesso un modello più sostenibile e meritocratico per il futuro della "settima arte" italiana. E forse fare anche un po' di sana autocritica per capire dove sono stati gli errori, perché che il cinema sia in crisi è un dato di fatto ma non perché mancano i finanziamenti, visto che fino a ora sono stati copiosi: i botteghini piangono, i film italiani incassano poco e si è persa l'affezione che gli italiani per decenni hanno mostrato per quest'arte.

Forse perché i temi sono sempre i soliti? Forse perché le trame sono identiche a se stesse e raccontano sempre le medesime storie nelle quali gli italiani non si riconoscono più? Forse, prima di piangere per la mancanza di finanziamenti, bisognerebbe fare un mea culpa per la mancanza di idee.

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