Cinema

Harrison Ford, l'attore di 'Indy', conquista tutti a Cannes

Il quinto capitolo della saga passa in secondo piano. A tenere banco al Festival è l’amore incondizionato e transgenerazionale che si respira per il suo attore protagonista

Harrison Ford, l'immortale 'Indiana Jones', conquista tutti a Cannes

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Ottant’anni. Questa l’età di Harrison Ford. Vederlo a Cannes per la presentazione del quinto capitolo della saga di Indiana Jones e attribuirgli tanti giri attorno al sole ha del surreale.

Il Festival ha avuto già il suo vincitore, almeno in termini di mascolinità gentile. Perché c’è qualcosa di speciale nella compostezza stanca di quest’uomo affabile e ironico che ieri, in conferenza stampa, sfoderava il sorriso malandrino di sempre ma aveva anche gli occhi pieni di commozione. Averlo di fronte significa poter contemplare il compendio di alcuni tra i più iconici personaggi della cinematografia mondiale, ma anche un uomo che li ha trascesi, diventando con l’età qualcosa di diverso dalla somma di quelli: un essere umano malinconicamente risolto.

"Io amo essere vecchio", se ne esce il nostro immortale. "Essere stato giovane è stato bello ma sono felice ora, sono a posto con i miei anni".

Una temeraria giornalista australiana dice quel che probabilmente in tante abbiamo pensato durante il film, vale a dire: "Sa che è ancora molto erotico?". Risata generale mentre lui non può che trasalire per poi, con somma autoironia, rispondere: "Grazie di essersene accorta". Del resto quanti possono reggere una scena a torso nudo a quell’età? Eppure è quello che vedrete fare a lui in "Indiana Jones e il quadrante del destino" di James Mangold, il primo regista a firmare un film della saga al posto di Steven Spielberg.

L’osanna al divo prosegue con un'altra domanda che nella chiosa contiene un sentito, emozionato e autentico "Grazie di esistere, Mr. Ford". Stavolta la frase lo travolge, l’attore ride con tutta l’anima, si butta indietro con la schiena e alza gli occhi al cielo, divertito e anche divertente.

Insomma, mai visti tanti giornalisti in modalità fan. Basti dire che in sala stampa l’attesa del caro vecchio Indy e del cast è stata ingannata a più riprese con l’intonazione spontanea di gruppo della Raiders March di John Williams con cui, da oltre quarant’anni, si identifica la saga di Indiana Jones.

L’aria è satura di gratitudine e coinvolgimento per tutto il tempo, si respira una corrispondenza emotiva totale tra Ford e gli astanti.

L’ottuagenario Harrison sembra non essersi ancora ripreso dalla sorpresa della Palma d'oro onoraria, ricevuta la sera prima. Ha gli occhi lucidi mentre dice: "Il calore di questo posto, l'accoglienza che sto avendo è inimmaginabile, mi fa sentire molto bene".

Le sue uniche aspettative relative all’ultimo capitolo del franchise sono quelle di "Dare al pubblico un buon film". Del ringiovanimento digitale che permette ai primi venti minuti su schermo di godere dell’Indiana Jones dei tempi d’oro, Harrison Ford dice di essersi stupito: "Ero riluttante all’idea; invece, per quanto bizzarra, funziona. Quella è la mia faccia, l’intelligenza artificiale ha usato come base dei frame conservati dall’epoca dei primi film e li ha elaborati".

Gli viene chiesto: "Perché questa è l’ultima volta che interpreta Indy?" e lui incredulo indica la propria fisicità ed esclama: "È evidente!". Poi racconta come sul set tutti lo abbiano molto aiutato, dato che i suoi movimenti oramai sono lenti. Sarà anche vero ma più si descrive come anziano e più l’effetto è "fishing for compliments".

Gentile, commosso e spiritoso, Ford tenta quasi di sparire a tratti, a giudicare dalla postura. Il suo non è il carisma fiero e prepotente di alcuni molto meno noti di lui, tutt’altro. Eppure non basta abbassare gli occhi per farsi piccolo, così come fingersi spaurito non lo esime dal rubare la scena a chi ha intorno, ivi compreso il ben più giovane Mads Mikkelsen.

Quando giocoforza deve guardarsi intorno e rispondere, sfodera l’azzurro ghiaccio dello sguardo e gli altri scompaiono, lo sa bene.

La grandezza di questo ex falegname divenuto poi un attore leggendario con film entrati nell'immaginario collettivo, è proprio nel fingersi ancora una volta uno di noi.

La sua umiltà incanta ma finisce con il fare da sigillo a una oggettiva superiorità congenita.

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