
nostro inviato a Venezia
La guerra di Gaza arriva sul tappeto rosso con il film The Voice of Hind Rajab della regista tunisina Kaouther Ben Hania. Produzione franco- tunisina, con il sostegno, non indifferente anche in termini di risonanza, di alcune star di Hollywood del calibro di Brad Pitt e Joaquin Phoenix. Il film è basato sulla storia vera di Hind Rajab, bambina palestinese di sei anni che cerca, insieme con alcuni famigliari, di uscire dall’inferno di Gaza. È il 29 gennaio 2024. L’automobile è attaccata da un carro armato. Muoiono tutti tranne Hind che trova un telefono. La Mezzaluna Rossa riceve una chiamata d’emergenza. La bambina implora di essere salvata. I volontari cercano di tenerla al telefono mentre fanno tutto il possibile per farle arrivare una ambulanza. Ma non è così semplice. Ci vogliono ore per ottenere un corridoio sicuro. Quando sembra fatta, la situazione precipita. La vicenda era già nota ai media e la regista è famosa anche per i suoi documentari. A questo si deve il tono asciutto del racconto anche se la voce della bambina è quella reale: sono stati usate infatti le registrazioni radio autentiche. Niente proclami politici, niente momenti programmatici, solo la cruda realtà della sofferenza e della morte di una bambina innocente. Il film evita con cura di citare Hamas e i vertici del governo israeliano. Mostra invece le forze in campo, soprattutto, è chiaro, i volontari della Mezzaluna Rossa e i militari israeliani (evocati dal rumore degli spari e dalle parole di Hind). Un pugno nello stomaco, più incisivo di mille cortei e mille flottiglie. È la forza dell’arte. Inutile aprire la disputa su quali siano le radici di questa guerra. Il film è una testimonianza del dolore di una delle parti, e non c’è bisogno di essere filo palestinese per apprezzarla e farne tesoro. Naturalmente, altri avrebbero potuto fare un film sul 7 ottobre, e sui bambini trucidati dai criminali di Hamas in quell’occasione. Intanto abbiamo questo The Voice of Hind Rajab che potrebbe andare a premio, e che avrebbe già vinto se i Leoni fossero attribuiti dall’applausometro alla fine delle proiezioni (24 minuti, un record).
Decisamente più schierata, inevitabilmente, la conferenza stampa in coda al film. L’apertura è un appello letto dalla attrice Saja Kilani: «Questo film non è un’opinione, ma la realtà. La voce di Hind Rajab è tra quelle dei 10mila bambini morti fino ad oggi. (...) Nessuno può vivere in pace quando i bambini ci chiedono di essere salvati. Dobbiamo chiedere giustizia per l’umanità intera e per il futuro di ogni bambino. Adesso basta». In inglese: «enough», che è la scritta sulla spilla indossata dall’intero cast. La regista/1: «Quando ho sentito la voce di Hind Rajab, ho capito che non era solo la sua. Era la voce di tutta Gaza che chiedeva aiuto, un grido a cui nessuno poteva rispondere. Per me era fondamentale fare questo film». La regista /2: «Nella narrazione dei media di tutto il mondo, le vittime di Gaza vengono considerate come danni collaterali e credo che questo sia deumanizzante. Il cinema e tutte le espressioni artistiche sono fondamentali per dare a queste persone un volto e una voce». La regista/3: «Usare la vera voce di Hind? È stato un punto sul quale abbiamo a lungo dibattuto, perché quando si amplifica la voce dei palestinesi generalmente si viene accusati di voler sfruttare la situazione, ma questo è un altro modo che hanno per toglierci voce. Farla doppiare mi suonava come una specie di tradimento nei suoi confronti». La regista/ 4: «Viviamo in un momento in cui anche gli oppositori del regime in Israele si trovano in una posizione non facile. Credo che sia estremamente coraggioso esprimersi contro il genocidio da cittadini israeliani all’interno del regime». La regista/ 5: «In realtà io non accetto che i miei film vengano distribuiti in Israele. È la mia posizione di attivista». Infine la testimonianza dell’attore Motaz Malhees: «Io vengo dalla Palestina. Quando avevo dieci anni ho vissuto questa vita, ho vissuto quello che al momento sta succedendo a Gaza. Sentire la voce di Hind mi ha riportato alla vita che ho già vissuto».
Non avrebbe stonato, anzi avrebbe
reso ancora più vera la conferenza stampa, una parola per i ragazzini trucidati da Hamas in quel disgraziato 7 ottobre. Non per chissà quale inutile par condicio. Erano innocenti anche loro. Ma di loro non parla nessuno.