Le cinque prove del ricatto di Patrizia

SPUDORATA La escort ospite di palazzo Grazioli si dipinge come un’ingenua, poi annota: «Ho registrato pure stavolta»

Il racconto di una vita disgraziata, costellata di sciagure. Ma anche il manuale del perfetto ricattatore. Il libro Gradisca, presidente scritto dalla escort pugliese Patrizia D’Addario, (240 pp, Aliberti editore) corre su questo doppio binario. La grande accusatrice di Berlusconi gioca a nascondino con la sua stessa personalità. Si dipinge come una sprovveduta, ingannata due volte dal suo fidanzato-protettore, che lei stessa ammette di aver incastrato grazie alle sue proverbiali registrazioni, poi sostiene di essere legata da un vincolo affettivo al padre, violento con la madre e morto suicida per una storiaccia di appalti. Un gioco di specchi nel quale la D’Addario attacca il sistema dei media, distrugge sistematicamente l’ex amica Barbara Montereale e il trans Manila Gorio, non risparmia strali all’imprenditore barese Giampaolo Tarantini («Ma non ce l’ho con lui») che l’avrebbe convinta a suon di euro a partecipare alle cene di Palazzo Grazioli. Come fare a non crederle?
«Nella borsa ho il mio fedele amico, il registratore. Mi ha salvato la vita, mi accompagna da anni». Eccolo, il suo fidato compagno, il suo vero protettore. «La mia arma - ammette la escort pugliese - è uno di quelli vecchi, grigio metallizzato, con le cassette piccole da un’ora di registrazione». Usato più e più volte, ma per carità senza malizia. Eppure chiunque abbia sentito la sua storia le ha fatto sempre la stessa domanda: «Ma perché te ne vai in giro col registratore? Lo sai che significa ricatto?». No, lei sa solo che da quando l’ha usato la prima volta, per incastrare il suo fidanzato-protettore, ha funzionato. «Io ho registrato per legittima difesa, come ho imparato a fare da tempo». Il suo fidanzato era un orco ma nessuno le credeva. Strano. Poi l’idea: registrare i suoi incontri con il compagno per dimostrare alla polizia che lei, poverina, era costretta a fare la escort e incassare 500-600 euro alla volta da dividere equamente. «Ho cominciato a registrare per raccogliere prove contro l’uomo che mi aveva messo sulla strada e che mi ha mandata all’ospedale. Volevo farlo arrestare, e ci sono riuscita solo quando ho presentato le cassette». L’uomo finisce in cella una prima volta. Poi si rifà vivo. «È il mio compleanno, dice. Voleva fare pace. Resisto, poi cedo». Nonostante i pugni in faccia, i due si frequentano di nuovo. Ma il seguito di questa relazione è oggetto di un’inchiesta giudiziaria che mescola prostituzione, minacce, percosse e stalking. Meglio sorvolare.
Da allora, arma che vince non si cambia. L’ha usata altre volte, per sua stessa ammissione. I due incontri a Palazzo Grazioli, una telefonata con il premier, lo sfogo con Tarantini dopo la prima volta a casa di Berlusconi. E chissà quante altre volte ancora. Ma lei no, non voleva ricattare nessuno, figurarsi Berlusconi: «Per la verità sembra che faccia più orrore il fatto che io abbia registrato che non ciò che ho registrato. Ma senza queste prove nessuno mi avrebbe creduto». Però ricattatrice proprio no: «Se ho parlato della mia notte con il premier al Corriere è solo perché ho avuto paura per la mia vita». Però in un altro passaggio del libro esulta: «Sì, penso anche io, sono una donna fortunata, ho fatto il colpo della mia vita, sono andata a letto con Berlusconi. E soprattutto ho le prove che sia avvenuto, ho registrato. Anche stavolta».
Dice di essere stata minacciata, derubata, investita, ingannata. Tutto per quei nastri. Ma cosa c’è in quei brogliacci raccolti illegalmente? «Le mie prove sono in cassaforte, ce l’ha il giudice». Qualcosina è uscita dal buco della serratura ed è arrivato all’Espresso. Ripreso, nero su bianco, nel libro. La D’Addario sarà ingenua ma sa che rendere pubblica in parte una conversazione oggetto di un’inchiesta è reato: «Non posso dire di più perché le cassette sono nelle mani della giustizia e non devo svelarne il contenuto».
Però bisogna pur guadagnare qualcosa, visto che per tutte le sue comparsate in tv e sui giornali - confessa la escort - non ha preso un euro. E allora ecco il lettone di Putin, i gioielli a forma di farfalla, la telefonata con il premier, la delusione per quella «busta» con 5mila euro che Berlusconi avrebbe dovuto darle e che invece non aveva preso. Ma non è un ricatto. Perché lei, quei soldi, non li voleva nemmeno: «Modestamente, non mi interessano, in questo momento li posso guadagnare quando voglio. È altro quello che mi aspetto e mi è stato promesso. Il premier ha sbagliato a prendersi gioco di me».
Ecco la storiella dell’immobile del padre, il sogno della vita del padre padrone morto suicida, l’unico motivo che l’avrebbe spinta ad accettare l’invito a Palazzo Grazioli. Un immobile che avrebbe dovuto essere demolito, prima riscattato poi condonato dal padre, pozzo nero che ha inghiottito migliaia di euro apparsi dal nulla, oggetto misterioso che avrebbe spinto la D’Addario nel baratro della prostituzione. «È quello il problema che Berlusconi ha promesso di risolvere quando sono andata a letto con lui. Sono diventata una escort, oggi la più famosa del pianeta, per colpa di questo blocco di cemento». Come fare a non crederle? Peccato che lei, altre volte, quando non era nessuno, si era inventata un bel po’ di storielle. La memoria torna all’intervista del 2004 alla Gazzetta del Mezzogiorno, quando la D’Addario giocava a nascondino anche con l’anagrafe.

Era Patrizia Brummel, prima Patrizia Dario, poi Koka, Phoebe Barbieri e anche Alessia, e altri alias ancora sulle inserzioni a pagamento nei giornali che lei stessa conferma: «Mi sono rivista in quei giorni, ero sul punto di essere sbattuta per la strada dal mio nuovo compagno, ma resistevo. Anche quel calendario fu usato per vendermi anche meglio. Mi ero inventata anche un padre italoamericano per essere più esotica».
felice.manti@ilgiornale.it

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