«Il mare intona una musica soave... lo scafo scivola pienamente sull'onda tagliandola in due creste di spuma». È l'incipit di Specchio Oscuro di Dionisio di Francescantonio. Primo di cinque racconti del libro, dedicato ad Ulisse, il più universale degli eroi: in tanti - pur se non fanno - vorrebbero partire dietro un sogno da concretare. Un inizio, sigla inconfondibile, per il linguaggio sontuoso, lontano dalle «trecento» parole rigirate dai tanti con stile all'inglese privo dell'aggettivazione che qui c'irretisce come «un lento flautato canto di sirene».
Commenterò alla fine questo racconto, dando la precedenza agli altri quattro. Il primo, «La rapita», ha per scenario una Sardegna «ferma al mondo primitivo e spietato della Bibbia», la stessa della Deledda: una terra ancorata alla pastorizia, dove vige l'abigeato. Oltre a rubare le pecore, un focoso sardo, durante l'assenza del marito, gli porta via la moglie che l'aveva accolto imbracciando il fucile senza però usarlo. Il marito va a riprenderla, ma la moglie, quando il rapitore è a terra, mentre il marito sta per sgozzarlo, gli spara uccidendo anche lui. Ipotesi: Si era invaghita del rapitore? Capiva forse di avere un'identità compromessa e non poter rientrare nella sua storia di prima? Il libro si dipana sull'identità «mostro da abbattere - sia quella collettiva sia quella individuale -, forma di egoismi e discriminazioni». Annotazione in quarta di copertina che individua il filo conduttore dei racconti. Il terzo, «La Travestita», riguarda una storia vera, d'inizio Novecento. Di Isabelle Eberhardt, figlia illegittima di un'aristocratica russa che l'aveva avuta, dopo quattro figli con il marito senatore e ufficiale in Svizzera, dal loro precettore, ex pope, spretato e libero pensatore. Isabelle sui vent'anni, conoscendo sei lingue tra cui l'arabo, parte per l'Africa dove vive dei suoi scritti di giornalista e sempre travestita da uomo (se no, non avrebbe potuto muoversi liberamente). Si converte e ringrazia Allah che l'ha «salvata dalle tenebre dell'ignoranza», tale le era sembrata la ristretta società ginevrina di provenienza. Isabelle s'innamora del Deserto, romantica vittima dell'amor d'Africa. Gli altri due racconti, più lunghi, «Brutto anatroccolo» e «Specchio oscuro», riguardano la crisi adolescenziale, ma molto disperata, di una ragazza che si crede brutta, e il rapporto tra due gemelli che l'educazione della madre ha plasmato uguali, sbagliandosi nel credere più forte il gemello Andrea. I due, per interscambiabilità, giungono a dividersi le donne che conquistano. Poi Paolo s'innamora e il rapporto si complica. Non anticipo il finale perché ha la sua importanza in questo gioco di specchi e del proprio doppio, tema di Artaud, pietra miliare del Teatro moderno.
Eccoci al primo racconto, un asso «pigliatutto» dell'autore per vincolarci ai suoi viaggi d'introspezione nel cuore dell'uomo. Sarà per la presentazione del libro, alla Biblioteca del Consiglio Regionale, con introduzione di Matteo Rosso e - dopo la lettura critica di Armando Fossati - con intervento conclusivo di Renata Oliveri, sarà per il bombardamento dall'antiberlusconismo, ho creduto che il libro sia politico e ho identificato Berlusconi in Ulisse. Mi aspettavo l'autore lo manifestasse, invece no, però... i tasselli sono giusti.
Inizia così Ulisse-Berlusconi: «La rotta è incerta, la Patria (il suo sogno) lontana». Guarda i volti dei compagni, del cui fallimento deve portare il peso, li prega ancora una volta: «Scioglietevi nella mia medesima illusione!». Si rende conto di aver «commesso l'errore di accompagnarsi ad individui che obbedivano a moventi e cupidigie diversi dai suoi», sospira tra sé: «Certo ora non partirei più». Perfino una descrizione del paesaggio con «la vipera, l'agave spinosa, l'ulivo contorto» mi ha fatto credere d'essere al Parlamento.
Sullo sfondo il padre (i padri) che aveva (avevano) «coltivato solo interessi concreti», mentre Ulisse ha fatto della vita una sfida. Non manca la sposa. Al «Come sarà?», si risponde: «Piena di delusione, d'avversione per chi l'ha costretta ad un'esistenza tronca, privata d'amore».
Coup de Théâtre: la tempesta finale da cui si salva solo Berlusconi-Ulisse e approda all'Isola. È la terra di Nausicaa, monellaccia che civetta con lui, ma Berlusconi, seguendo gli inviti alla «sobrietà» di certi Vescovi e del loro giornale si dimostra «compos sui». Nel guardarla «con malinconia non priva di rimpianto», dice: «Per maligne inestricabili trame ho sofferto i peggiori dolori, ho perduto la giovinezza, gli affetti, tutto ciò che possedevo. Sono stato sconfitto su tutti i fronti».
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