Una città angosciata

Sarà meglio dire subito che, chiamati a sfilare per chiedere sicurezza, i milanesi avrebbero dovuto e in schiacciante maggioranza voluto offrire una prova di unanimità, di civico consenso all’appello del sindaco. Ma la politica s’è inserita tra i grandi bisogni di Milano e le piccole esigenze di partiti e di movimenti ai quali di Milano non importa nulla. O, più precisamente, di partiti e movimenti i quali in Milano vedono la capitale, e il simbolo, di un’Italia che a loro non piace. Lo sfoggio di palloncini tricolori della sinistra pretendeva di dare un’impronta nazionale - contro il presunto localismo dell’iniziativa di Letizia Moratti - alla contromanifestazione.
In realtà l’essenza simbolica del corteo di sinistra stava proprio nel suo percorso, da Palazzo Marino alla prefettura. Nei tempi che furono, quando la sinistra era la sinistra, al prefetto spettava il ruolo d’inviso rappresentante di un’autorità occhiuta, d’esecutore di ordini della reazione in agguato. Questa nuova e gelatinosa sinistra si scopre, quando le fa comodo, governativa, e così ieri ha voluto tracciare un legame ideale tra la Milano dei sindaci (una trentina oltre alla Moratti) e la Roma del Viminale. Questa volta riabilitata da personaggi che non perdono occasione per esternare la loro solidarietà ai no global, l’affetto per i centri sociali, la simpatia per i Caruso e i Casarini. Tutto serve, nel tentativo d’arginare un moto impetuoso dell’opinione pubblica in favore di chi, come Letizia Moratti, dà voce alle ansie di chi l’ha eletta.
Si polemizzerà - lo si è già fatto - sull’adesione, e la presenza, di Silvio Berlusconi: del quale nessuno vuol negare la lampante caratterizzazione politica. La sua era tuttavia l’adesione d’un milanese - che per la scorta garantitagli come capo dell’opposizione potrebbe anche sentirsi immune da pericoli - ai sentimenti dei suoi concittadini che sono senza scorta: e che assistono impotenti - l’espressione di Letizia Moratti è forte ma appropriata - al declino e per taluni aspetti al degrado della loro città. Una città che pure sa esprimere, nell’economia e nella cultura, una vitalità invidiabile.
Milano non si sente protetta in misura e in maniera adeguata alla criminalità da cui è insidiata. Sa d’essere l’obbiettivo d’una delinquenza che è in massima parte importata da altre regioni e da qualche anno a questa parte è anche in larga e preoccupante misura extracomunitaria. Una delinquenza che rende alcune aree poco frequentabili e alcune strade invivibili. Se la signora sindaco lamenta che manchino 500 poliziotti negli organici e non ottiene che siano rimpiazzati e rafforzati, se uno striscione accusa «siamo soli nel quartiere - istituzione fatti vedere» il governo non può chiamarsi fuori o cavarsela rivendicando un’intesa a palloncini tra Milano e Roma. E nemmeno può addossare all’amministrazione comunale fenomeni - come lo sfacciato spaccio di droga - che hanno dimensione nazionale, e che in una metropoli diventano particolarmente acuti. Per impedirli non c’è che un mezzo, la presenza fisica di poliziotti o carabinieri là dove imperversano i pusher.
Riconosciamo pure che alcune carenze organizzative vengono da lontano e sono state troppo assecondate, nel corso dei decenni, da troppi governi. Gli uomini delle forze dell’ordine sono nella quasi totalità del sud e aspirano ad essere inviati nei luoghi d’origine: cosicché nel Meridione gli organici sono stracolmi, e nel nord cronicamente carenti. Ma Milano che colpa ne ha? Ne hanno colpa, semmai, pressioni politiche, sindacali, clientelari alle quali la metropoli è estranea. Delle quali anzi è vittima: e che appartengono a una certa recita di reciproci favori. L’avesse indetta la Jervolino, la fiaccolata, Roma si sarebbe profusa in dichiarazioni di comprensione. L’ha indetta Letizia Moratti, e le propaggini romane a Milano si sono immediatamente premurate di allestire la contromanifestazione. Che date le dimensioni possiamo ridurre a contromanifestazioncina (debbo onestamente dire che la richiesta d’un pensionato «togliamo i poliziotti dagli stadi» ha tutta la mia approvazione).
S’è voluto che Milano arrivasse divisa a un appuntamento che avrebbe dovuto essere unitario: che ci arrivasse in un clima d’inquietudine e d’incertezza.

Tanti cittadini si sono incolonnati dietro Silvio Berlusconi e Letizia Moratti - cinquantamila secondo il vicesindaco De Corato, qualche migliaia in meno secondo la questura - ma sarebbero stati molti di più se fosse stato pienamente capito ciò che la Moratti ha sottolineato. Vale a dire che il suo voleva essere un messaggio sociale, non politico; il grido d’angoscia di una grande città, non uno strumentale gesto d’opposizione.
Mario Cervi

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