Area B non piace. Continua a non piacere a chi lavora, a chi tira la cinghia e non può cambiare auto o furgone e non piace a chi sta all'opposizione «perché è un provvedimento classista che va a colpire le famiglie economicamente più deboli». La Ztl in vigore dall'anno scorso fa divieto alle auto più inquinanti di entrare in città, dai motori benzina euro2 ai diesel euro5. Il modello che il Comune insegue è quello della Ulez, la zona a basse emissioni di Londra che è la più estesa al mondo, che coinvolge tutta la città, periferie comprese, e che per circolare impone il pagamento di un ticket di 15 euro sette giorni su sette H24. Una «stangata» che i detrattori del sindaco Sadiq Khan hanno bollato con proteste vibrate come una misura per i soli ricchi che possono permettersi un'auto elettrica (le uniche che non pagano) e che porterà presto a morte sociale la capitale londinese. Ma a poco è servito. La Ulez è attiva e, va detto, ha sensibilmente ridotto traffico e inquinamento. Ma Milano non è Londra. Innanzitutto perché non ci sono le stesse alternative all'uso dell'auto privata. Perché lo «sharing» non è ancora entrato nelle abitudini di tanti e perché il servizio pubblico, da Trenord ad Atm alle autolinee che collegano la città con l'hinterland, nonostante gli aumenti del biglietto, non regge il paragone per capillarità, frequenze ed estensione d'orari. E basta provare a raggiungere un paese fuori Milano dopo cena con i mezzi pubblici per capire cosa significa. E infine l'alternativa ciclabile, la scommessa più audace di Palazzo Marino. Al di là degli errori dovuti un po' alla fretta e ad un approccio ideologico che non accetta compromessi, la sfida è purtroppo rimasta in ambito cittadino.
Poco o nulla si è fatto fuori città, coordinandosi con altre amministrazioni, con altre realtà. Il risultato è che oggi fare il «pendolare» in bici per venire a lavorare a Milano non pratica diffusa. A Londra sì. Ma Londra è lontanissima.
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