Una città imbevuta di catto-comunismo

(...) i teatri (ne sa qualcosa il buon Maifredi) sono ancora tutti in mano alla sinistra e ai suoi clienti insaziabili. Feudi chiusi tra le mura, arroccate sale prova per il suonatore unico. Guai a tentare di entrarci senza aver sviolinato prima un edificante «bella ciao». Ma qualcosa d'importante si sta muovendo ed è dotato di una forza d'urto pari solo alle umiliazioni subite (direbbe Cioran). Il dibattito aperto dal Giornale intorno all'argomento ne è una prova e bisogna essergli grati per aver permesso di spalancare questa porta. Per troppi anni il pensiero alternativo è stato a lungo represso e costretto nell'angolo. Altrettanto si può dire di tutte quelle energie creative anarcoidi o senza colore che risultavano fuori dal coro. L'occupazione manu militari delle menti e delle cariche da parte della sinistra è stata attuata con cocciutaggine attraverso l'applicazione pedissequa delle indicazioni gramsciane e degli ululati sessantotteschi. Anno dopo anno, mese dopo mese il gusto, il linguaggio, il modus agendi e le opere prodotte nell'universo culturale sono andati uniformandosi e tutto si è fatto uguale all'identico. Gli adepti rossi hanno marciato uniti e compatti verso l'occupazione, ligi al mandato e fedeli nel diffondere il messaggio. Buon per loro. Male per gli altri. Le colpe della destra vanno ricercate proprio nella sua cronica incapacità di farsi squadra, nell'antico individualismo un po' snob che l'affligge, nella orgogliosa, emarginante ritrosia davanti ai tempi nuovi ed al progresso che ha caratterizzato gran parte del suo secondo novecento. Certo, l'ostracismo che dal dopoguerra ha bollato con il marchio invalidante di «fascista!» tutti coloro che non erano circondati dall'aura sacrale del marxismo ha eretto un autentico argine per l'emersione di uomini e idee nuove. Alcuni sono stati costretti ad abbandonare il campo per trovare oneri e onori altrove. Altri si sono rifugiati in tiepide e oscure torri d'avorio, dediti allo studio e all'ermeneutica dei testi. Conseguentemente diversi autori del passato sono rimasti nelle soffitte nascosti fra libri polverosi. Mi riferisco a pensatori come Wilfredo Pareto, citato opportunamente dall'ottimo Claudio Papini in un articolo apparso in precedenza sul Giornale; a filosofi come Del Noce, a geni polivalenti come Pound, a economisti come Von Hayek, a penne feroci come quella di Leo Longanesi etc. etc. Ma le cose stanno cambiando nel paese e anche sotto la lanterna: di fronte all'indebolimento oggettivo delle truppe avversarie, al fallimento di molte fra le loro idee-azione e grazie al ricambio generazionale, uno stuolo di intellettuali provenienti dai vari e ricchissimi giacimenti culturali della destra sta emergendo e, quel che più conta, si sta facendo truppa, si organizza, si associa; interagisce senza gelosie o chiusure mentali che appartengono al passato, recupera il meglio della tradizione e lo rielabora in una visione inedita. Quarantenni come Sergio Maifredi, il giornalista e storico Alberto Rosselli, lo scrittore Bruno Pampaloni, il saggista Mario Bozzi Sentieri e molti giovani, scendono nell'agone e presto si vedranno i primi frutti di questa «Gioiosa Rinascita». Non sarà come andare a prendere un caffè, poco ma sicuro: il rinnovamento sarà complesso e dovrà esprimersi su più livelli: dal linguaggio al modo di concepire l'estetica, dal pensiero alle azioni; e sarà poi inevitabilmente costretto a farsi politica, per fornire le basi di un lungo e incontrastato dominio. Ci saranno morti e feriti, battaglie vinte e battaglie perse. L'avversario non mollerà la presa tanto facilmente.

Di una cosa però si può essere certi: si appresta una vera e propria rivoluzione culturale e le nostre generazioni ne saranno protagoniste. Genova non farà eccezione, permettetemi di essere ottimista, è anche un'assunzione di responsabilità.
*Documentarista. Direttore Scuola

D'Arte Cinematografica

di Genova (SDAC)

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