Città «sfregiata» dal conformismo della sinistra

Legittime, anzi doverose le proteste del sindaco Moratti contro l'immagine, negativa fino alla diffamazione, che l'ultimo film di Francesca Comencini, «A casa nostra», dà di Milano. Del tutto inconsistente è la replica della regista - «la invito a vedere prima il film» - giacché sono stati i critici, quasi tutti dalla sua parte, a raccontarci che la pellicola rappresenta una Milano «buia», «livida», «triste», «aspra», «depressa», «egoista», «inaccogliente», «repulsiva», «schiava dei soldi», «desertificata dal culto del denaro»: tutte definizioni tratte dalle cronache della (contestata) proiezione alla Festa del cinema di Roma e dalle dichiarazioni della stessa Comencini. Mi basta, mi fido di quello che l'autrice dice della sua opera senza essere obbligato ad andare a vederla. Ma deve esserci un malinteso. Pare infatti che la regista per raccontare lo strapotere del denaro si sia ispirata alla vicenda dei famosi «furbetti del quartierino», Ricucci & C. Se è così, qualcuno le ricordi che quella storia si svolge prevalentemente a Roma e non a Milano e che, semmai, milanese era la preda principale di quella muta di immobiliaristi romani: il Corriere della Sera. Cosa pensare, dunque, che la Comencini abbia le idee confuse o che faccia più comodo, ai cinematografari romani, ambientare i loro film a Milano solo quando raccontano vicende trucide di soldi potere e cattiveria? Il fatto è che i registi, come tanti altri intellettuali, sono succubi e creatori insieme di luoghi comuni, banalità, conformismo e di tutto quanto fa «politicamente corretto». Perciò l'associazione Milano-soldi scatta automaticamente, non è necessario riflettere, pensare distinguere.

D'altra parte corrisponde all'immagine banalizzata che molti milanesi, a cominciare da tanti giornalisti, danno della città: basta leggere la rubrica di lettere (tutte vere?) sulle pagine milanesi del Corriere: le risposte del curatore sono somministrazioni quotidiane in dosi massicce di lamenti, depressione, disperazione. Ma forse è tutto molto più semplice, forse la ragione vera di questa rappresentazione distorta è banalmente politica: Milano è governata da gente che non piace alla gente che piace.

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