La città si autogoverna con capitribù e cyberboys

BengasiLa città di Bengasi è diventata una sorta di capoluogo dei territori dell’Est della Libia, sotto il controllo dei ribelli. «Soltanto fino a quando Tripoli cadrà», dicono molti dei manifestanti. Lo scrivono anche sugli striscioni appesi ai muri del tribunale, affacciato sul Mediterraneo, davanti al quale si sono tenute tutte le proteste. È qui che l’opposizione locale si incontra ogni giorno per amministrare la vita quotidiana nella città senza governo. Ieri, a Bengasi, la maggior parte dei negozi era chiusa. Le verdi serrande di ferro abbassate raccontano come molti commercianti temano un’offensiva delle forze del regime. Sono poche e sparpagliate in diverse parti della città le botteghe aperte: gli alimentari, i fruttivendoli, qualche farmacia. Le banche hanno riaperto gli sportelli già qualche giorno fa e lunghe code ordinate si formano ogni mattina davanti all’entrata degli istituti di credito. I banchieri hanno chiesto agli uomini d’affari e ai commercianti di non estinguere i loro conti e alcuni hanno imposto un tetto per il ritiro del contante di 200 dinari, 115 euro.
È difficile tenere il conto dei comitati e dei gruppi civici formati nelle scorse ore per amminstrare le cittadine dell’est. Due giorni fa, in un’aula del tribunale di Bengasi, è stata annunciata la formazione del Consiglio Nazionale Libico. Il gruppo, di cui non si conoscono ancora i membri, riunirà i rappresentanti una serie di comitati locali di diverse città. «Non abbiamo posizioni politiche - ha detto davanti ai giornalisti un portavoce - ci occuperemo della vita quotidiana della regione nel periodo di transizione». Poche ore prima si era riunito per la prima volta un comitato di 13 persone che gestirà gli affari cittadini, amministrerà la giustizia e si occuperà un po’ di tutto: dalla pulizia delle strade alla distribuzione delle risorse. Accademici, attivisti, giudici, avvocati, politici, leader religiosi e tribali, giovani cyber dissidenti di Facebook si ritrovano ogni giorno nelle aule del tribunale per organizzare il lavoro. Negli corridoi affollati, boy scout quantificano gli aiuti medici e alimentari in arrivo anche dal confine egiziano. E nelle strade, semplici cittadini si occupano della raccolta della spazzatura e dirigono il traffico.
Per ora, la città si arrangia come può anche per garantire il rifornimento di carburante. L’Arabian Gulf Oil Co. (Agoco), la più grande compagnia petrolifera statale, con base a Bengasi, ha preso le parti della rivoluzione e, dopo aver forzato le dimissioni del suo amministratore, si sta ora autogestendo.

Controlla i suoi pozzi nel deserto e mantiene l’attività a basso regime: la produzione giornaliera è scesa da 420mila barili a 170mila. E oggi sarebbe dovuto salpare dal terminal di Tobruk un carico di 700mila barili di greggio da esportare, ma i manager della compagnia non hanno potuto confermare la sua partenza.

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