I volenterosi riuniti sentono Trump. La linea di Meloni: no all'invio di truppe

Vertice dei big Ue con Kiev senza l'Italia. Scambio di accuse con Macron

I volenterosi riuniti sentono Trump. La linea di Meloni: no all'invio di truppe
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di Adalberto Signore nostro inviato a Tirana

L' occasione è il sesto vertice della Comunità politica europea, un forum itinerante nato tre anni fa su impulso di Emmanuel Macron e che comprende 47 Paesi del Vecchio continente e non solo i 27 dell'Ue. La notizia è che sotto la pioggia di Tirana il summit diventa l'occasione per una riunione d'emergenza del cosiddetto gruppo dei volenterosi per l'Ucraina, che in una pausa dei lavori si riunisce proprio nella sala della plenaria. Ci sono il presidente francese Macron, il primo ministro del Regno Unito Keir Starmer, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il premier polacco Donald Tusk e il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky. Una foto li immortala con le teste chine verso un telefono al centro del tavolo, dal quale è collegato in viva voce Donald Trump per fare il punto dei colloqui in corso a Istanbul. Assente, invece, Giorgia Meloni. «Per coerenza, perché l'Italia ha dichiarato da tempo di non essere disponibile a mandare truppe in Ucraina», spiegherà piuttosto infastidita in una dichiarazione-lampo a favore di telecamere per «fare chiarezza» sul «dibattito sulla mancata presenza italiana».

La riunione dei volenterosi, però, non è solo l'occasione per fare il punto degli sforzi negoziali in corso, che evidentemente faticano a decollare se il primo bilaterale tra gli emissari di Kiev e Mosca è durato meno di due ore. Dopo essersi confrontati con l'inquilino della Casa Bianca, infatti, i quattro leader europei e Zelensky decidono di sottoscrivere una dichiarazione congiunta in cui si punta il dito contro la Russia e si ribadisce la necessità di uno stretto coordinamento tra Europa e Stati Uniti. «La parte russa non ha dimostrato buona volontà e ha posto condizioni inaccettabili. Continueremo a lavorare insieme. Il compito principale è mantenere l'unità dei partner europei e americani intorno alla questione ucraina», dice Tusk precisando di parlare anche a nome di Macron, Starmer, Merz e Zelensky.

Un'assenza, quella di Meloni, che segue la sua mancata presenza al vertice di Kiev della scorsa settimana, a cui ha preso parte solo in video-collegamento. E che accende le opposizioni che accusano il governo italiano di «irrilevanza». Ed è a loro che la premier replica quando fa appello alla coerenza. «A chi si lamenta dice chiedo la mia stessa chiarezza. Ci viene chiesto di partecipare a questi format perché dovremmo mandare truppe in Ucraina oppure solo per fare una foto e poi dire di no?». Dopodiché, aggiunge, l'Italia «ha sempre sostenuto» la causa di Kiev e «continua a partecipare a tutti gli altri format e a tutte le altre iniziative». Mentre «su questa non abbiamo dato la nostra disponibilità».

Una ricostruzione che, quasi certamente non per caso, Macron sembra contraddire. «Guardiamoci dal divulgare false informazioni, ce ne sono a sufficienza di quelle russe», dice il presidente francese. Perché, aggiunge, «non abbiamo parlato di inviare truppe» e «la discussione era per un cessate il fuoco in Ucraina». Anche se solo qualche ora prima il segretario alla Difesa britannico John Healey aveva ribadito la disponibilità di Londra a inviare truppe sul campo, precisando peraltro che tale dispiegamento è già nella fase di «pianificazione operativa».

D'altra parte, che il rapporto tra Meloni e Macron sia ai minimi termini non è certo un mistero. E forse anche questo è un elemento che incide. Come altre ragioni di realpolitik che la premier ha soppesato nelle ultime settimane: dalla politica interna al fatto che l'Italia non ha le disponibilità finanziarie per mantenere un contingente in Ucraina. Che sull'invio di truppe sul campo la maggioranza così come l'opposizione non sia compatta non è infatti un segreto. Così come il fatto che buona parte del Paese condivide questo scetticismo.

Dubbi che però non trovano sponda nel gruppo di testa dell'Europa. Con Germania e Regno Unito che, per ragioni diverse, negli ultimi dieci mesi hanno modificato il loro approccio. A Berlino, infatti, Merz ha preso il posto di un debolissimo Olaf Scholz, mentre a Londra Starmer ha sostituito Rishi Sunak. E proprio il cancelliere tedesco, nonostante sia un esponente del Ppe e quindi decisamente più affine del suo predecessore a Meloni, deve tenere conto che governa insieme alla Spd.

Proprio oggi, peraltro, i due si incontreranno a Palazzo Chigi. Merz sarà infatti a Roma per la cerimonia di intronizzazione di Leone XIV che si terrà domani.

Così il presidente della Repubblica del Libano Joseph Aoun e il primo ministro del Canada Mark Carney, anche loro attesi a Chigi in giornata. Domani, invece, Meloni dovrebbe vedere il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance. Un colloquio che dovrebbe avvenire a San Pietro.

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