Mi chiedo se il Trattato di Lisbona cui fa riferimento Ida Magli sia lo stesso che Francia e Olanda hanno approvato dopo avere bocciato per referendum il progetto di Costituzione, che l'euroscettica Gran Bretagna e i Paesi nordici sempre gelosi della loro sovranità hanno giudicato accettabile e che in Italia neppure la Lega osteggia con molta convinzione. Il sottoscritto non è mai stato un federalista, quando era sottosegretario agli Esteri (con delega agli Affari europei) veniva considerato un «eurorealista» e non era d'accordo su vari aspetti dell'abortita Costituzione. Ma sul Trattato di Lisbona non mi sento di avanzare riserve sostanziali, se non che potrebbe ingenerare nuovi conflitti di competenze, per esempio tra il nuovo presidente del Consiglio europeo eletto per due anni e mezzo, il presidente della Commissione e l'Alto rappresentante per la politica estera. È incontrovertibile che, con il passaggio dell'Unione da 15 a 27 membri, uno snellimento delle procedure e una riduzione dei temi su cui è richiesta l'unanimità erano indispensabili per evitare la paralisi: e il compromesso raggiunto, per cui le delibere hanno bisogno del sì del 55% degli Stati che rappresentano il 65% della popolazione mi sembra, tutto sommato, accettabile.
Per capire quali sono i reali obiettivi del Trattato, bisogna anzitutto spiegare che cosa non è. Non aumenta il numero delle decisioni prese a Bruxelles, non crea un Superstato, non limita la capacità dei singoli Paesi di condurre una politica estera autonoma, non diminuisce il ruolo dei parlamenti nazionali che anzi acquisiranno un nuovo ruolo di custodi del principio di sussidiarietà. Ed è previsto il diritto di recesso.
Numerose sono invece le novità positive, che ci dovrebbe rendere più facile affrontare le sfide del Terzo millennio. Il Trattato prevede un’accentuata collaborazione tra gli Stati nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e - se passeranno le proposte di Sarkozy - anche all’immigrazione clandestina; prevede un rafforzamento della solidarietà tra gli Stati in caso di attacchi militari, di calamità naturali o causate dall'uomo e mette le basi per una maggiore collaborazione in campo energetico; rafforza la posizione dei cittadini di fronte alle istituzioni, integrando la carta dei diritti fondamentali nel diritto primario europeo. Dovrebbe migliorare, nei limiti insiti in una costruzione complessa come la Ue, anche il cosiddetto «tasso di democrazia». Per esempio, viene istituito per la prima volta un legame tra le elezioni europee e la formazione della Commissione, che dovrà rispecchiare gli orientamenti politici complessivi del momento; e, mentre aumenta il peso legislativo del Parlamento di Strasburgo, ormai equiparato in materia al Consiglio, viene per la prima volta introdotta anche la possibilità per i cittadini europei di prendere l'iniziativa attraverso la raccolta di un milione di firme tra circa 400 milioni di abitanti.
Il conferimento all'Unione della personalità giuridica, la creazione dell'Alto rappresentante per la politica estera e di difesa e dell'embrione di una diplomazia comunitaria dovrebbe anche facilitare all'Europa di «parlare con una voce sola». Ma qui, devo dire, la strada da percorrere resta lunga, perché per arrivare a una posizione comune sarà ancora necessaria l'unanimità, e se verranno decise operazioni militari o anche solo comunitarie, ogni Paese avrà diritto a chiamarsi fuori.
Premesso che ogni Trattato, specie se coinvolge 27 nazioni, è necessariamente frutto di compromessi, e che nel caso di quello di Lisbona si trattava di procedere a un'opera di aggiornamento che non poteva attendere più a lungo, è auspicabile che questo ottenga tutte le ratifiche necessarie (compresa, tra sei giorni, quella dell'Irlanda, che per costituzione ha dovuto far ricorso al referendum) per entrare in vigore a fine anno.
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