L’Europa a due velocità cambia le sue geometrie. Quante volte abbiamo sentito questa espressione, della doppia velocità? Solo che adesso assume un significato diverso. Un quarto di secolo fa, quando a Bruxelles si lavorava per fare l’euro, la doppia velocità rappresentava per l’Italia il rischio di restare fuori dalla moneta unica non per scelta, come per esempio la Gran Bretagna, ma per mancanza dei requisiti finanziari necessari. Lo stesso schema si è riproposto agli inizi degli anni Dieci, quando la crisi del debito sovrano ha investito i Paesi mediterranei, che a un certo punto sembravano destinati a sganciarsi dal gruppo dei più virtuosi. In entrambi questi momenti la Nazione leader di chi viaggiava ad alta velocità era la Germania, locomotiva d’Europa e come tale sempre prima in quanto a velocità.
Adesso, all’alba del secondo quarto di secolo, la doppia velocità resta, ma i tedeschi sono passati nel gruppo dei lenti. Pare incredibile, ma è così e a dirlo non siamo noi, bensì la Bce, la Banca Centrale Europea, che ha la sua sede proprio in Germania, a Francoforte. E che ne suo ultimo bollettino, a proposito della crescita del terzo trimestre nell'area euro, pari a +0,2%, scrive: "Ha continuato a essere caratterizzata da notevoli differenze tra le maggiori economie dell'area dell'euro", con un +0,6% in Spagna, +0,5% in Francia e +0,4% nei Paesi Bassi, e un Pil "rimasto invariato in Germania e in Italia". Una dinamica che trova la sua spiegazione di massima in “un contributo positivo della domanda interna, mentre le esportazioni nette sono state più contenute". In altri termini, vanno bene consumi e servizi, soffrono export e settore manifatturiero. La ex locomotiva d’Europa sta dunque rallentando al punto da cominciare ad andare a una seconda velocità proprio rispetto a Paesi meridionali che le stavano regolarmente dietro, come Francia e Spagna.
Purtroppo noi italiani non abbiamo da far festa. Non è come nelle leggendarie Italia-Germania del calcio, in cui quando la posta in palio era grossa abbiamo sempre vinto noi. E nemmeno si tratta di prenderci qualche rivincita economica. La realtà è che l’attuale stagnazione della manifattura tedesca si riflette proprio sulla bassa crescita italiana, rappresentandone una delle cause: le filiere industriali dei due Paesi sono super connesse e i problemi di una – pensiamo all’industria dell’auto, a quanta Italia c’è in un’auto tedesca e viceversa– diventano quelli dell’altra. Così, anche questa volta ci ritroviamo dalla parte della velocità più lenta. Il fatto che ci sia anche la Germania non può essere una consolazione.
C’è però un lato positivo: ora che anche la locomotiva tedesca si è fermata e che per far fronte alle spese militari tornerà a indebitarsi, forse
assomiglierà un po’ di più all’economia italiana. E, in questa chiave, le decisioni a livello europeo saranno più condivise e meno sbilanciate a favore degli interessi di Berlino. A cominciare dalla revisione del green deal.