Un clan targato Bologna

Romano Prodi, oltre ai pasticci e alle schifezze del suo governo, ci regala anche squarci di raro umorismo. Ieri, al suo meglio, ha detto - parlava del futuro Partito democratico - che voleva una nuova formazione politica non condizionata dalle lobby.
Sono le parole di chi, come dice Nicola Matteucci, non si muove mai senza i suoi famigli bolognesi. Che si è inventato una sorta di lobby continua dal nome Nomisma. Che da presidente dell'Iri, da consigliere di Unilever e Goldman Sachs ha vissuto solo di pane e lobby. Che da presidente del Consiglio nel 1996 ci ha cucinato privatizzazioni (che ora denuncia) misurate solo sui bisogni delle lobby. Che ha imposto come viceministro dell'Economia Massimo Tononi, già suo assistente all'Iri e impiegato, sino al giorno prima, alla Goldman Sachs.
Il fitto tramare del suo lobbismo si avverte oggi in tutti gli ambiti dell'economia. È giusto partire dal vecchio amico Angelo Rovati: di cui consigliamo di rileggere la recente intervista di «smentita» al Corriere della Sera. Qui il consigliere del premier candidamente descrive la sua attività tra uno yacht di un intimo collaboratore di Marco Tronchetti Provera e un altro. E, a proposito di lobby, non sarebbe male capire perché il «consigliere» sia stato platealmente smentito da Franco Bernabè e Francesco Caio senza che, peraltro, nessuno approfondisse la vicenda. Né si può evitare di ricordare la ricomparsa di Rovati al convegno «democratico» di Orvieto; dove ha detto che i rapporti non formali tra lui e Prodi sono solidissimi. Comunicano «continuamente». Alla fine, pare che l'unica cosa su cui non abbiano comunicato negli ultimi mesi sia stato l'invio del piano Rovati a Tronchetti. Ma al di là del consigliere, non è difficile individuare mosse prodiane in tutti i settori. E in particolare pare emergere un certo ruolo di sponda con Banca Intesa (futura SanIntesa).
La banca di Giovanni Bazoli e ancora di più quella che nascerà dalla fusione con San Paolo Imi sono risorse di formidabile qualità per l'economia italiana. Sarebbe un peccato che dessero troppo filo a un Prodi che tesse le sue trame politico-economiche. C'è chi legge negli ultimi provvedimenti di Antonio Di Pietro sulle concessionarie autostradali, preceduti dall'immediato attacco di Prodi all'annuncio della fusione Abertis-Autostrade, una pressione sulla famiglia di Ponzano Veneto per lasciare spazio alla banca milanese che vuole entrare massicciamente nel campo delle utility. E tra queste anche in quelle della telecomunicazione: di ieri la notizia che insieme a Mediobanca e Generali, anche la banca bazoliana potrebbe inserirsi nel nucleo di comando di Telecom Italia. Notizia che circola proprio quando tutti si chiedono quale compromesso proporrà Guido Rossi a Palazzo Chigi per evitare guerre prolungate tra esecutivo e impresa telefonica. Né aiuta a risanare il clima dai sospetti il fatto che un autorevole esponente del futuro gruppo San Paolo Intesa, Pietro Modiano, peraltro bravissimo banchiere, vada in giro a garantire che la futura megabanca rimedierà ai gravi guasti combinati dall'ineffabile coppia Prodi-Padoa Schioppa sulle liquidazioni.
Al contrario dei forcaioli di sinistra, per me il sospetto non è l'anticamera della verità. Sono convinto, poi, del ruolo di serie A della futura banca SanIntesa.

Ma dell'arietta mefitica sui rapporti tra politica e affari non sono responsabili i miei sospetti. Bensì l'attività di chi ha sostituito alla «merchant bank che non parla inglese» di Massimo D'Alema, un clan (definizione di uno che se n'intende come Ciriaco De Mita) che parla in anglo-falsineo.

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