Clapton: «Col mio idolo J.J. Cale scopro il lato oscuro del blues»

I re della chitarra hanno portato in tutte le hit parade il loro album in duo «The Road to Escondido»

da Milano

«Negli anni Settanta, mentre suonavo nei bar dell’Oklahoma, incisi l’album Naturally che conteneva After Midnight. Dopo qualche anno un giorno salii in macchina, accesi la radio e rimasi di stucco: la radio trasmetteva After Midnight ma non era la mia versione, era quella di Eric Clapton. E la trasmettevano tutte le radio d’America. Fu una cosa grande, anche perché ero ormai pronto a mollare tutto e mettermi a vendere scarpe per vivere». Parola di J.J. Cale: e chi era costui? Una domanda che farà inorridire i duri e puri della musica. Eppure Cale è un’eminenza grigia del blues e del rock d’autore, mastro chitarrista imitato da legioni di artisti, cantautore e autore di brani ripresi da Santana, Johnny Cash, Deep Purple, Eric Clapton. Già, c’è voluto il buon Eric per sdoganare Cale (ormai sull’orlo dei 70 anni), quel Clapton che gli ha «rubato» grandi composizioni come Cocaine e After Midnight e che ora s’è unito a lui in un bellissimo disco - a ritroso verso le sorgenti del blues ma con un occhio vivace all’attualità - come The Road to Escondido, che (con una nutrita band di compari come Doyle Bramhall e Derek Trucks)sta lasciando il segno nelle classifiche di tutto il mondo e che nella nostra hit parade è schizzato subito nei primi posti e ora se la gioca gomito a gomito con i Red Hot Chili Peppers. Un disco che si è trasformato in una tournée che ora li vede impegnati sui palchi d’America e d’Australia, poi li porterà in Europa per approdare in Italia prima dell’estate. «È dal 1968 che ammiro Cale - racconta il britannico Clapton - da quando ero in tournée con i Blind Faith e Delaney & Bonnie. Delaney mi fece ascoltare il 45 giri di After Midnight e rimasi fulminato. Cominciai a cercare informazioni su Cale ma all’epoca non c’era Internet ed era un’impresa. Mi ha affascinato, mi piacevano le sue canzoni, il modo rilassato ma intenso in cui cantava, come accarezzava la chitarra, e come produceva i dischi. Era un modo per riscoprire il vero blues e il r’n’r degli anni Cinquanta».
«Io invece lo ascoltavo alla radio - ribatte Cale cresciuto a Oklahoma City - in quei giorni la musica stava cambiando rispetto ai suoni di Chuck Berry, Fats Domino, Elvis, Little Richard con cui sono cresciuto. Era il blues, una cosa americana, e poi ecco, all’improvviso gli inglesi, ma soprattutto Eric Clapton, vanno a riscoprire Muddy Waters e il blues e lo reinventano a modo loro. Ma Eric era speciale, univa l’elettrico e l’acustico in un sound chitarristico inimitabile, duro e morbido, caratteristico come quello di Les Paul». Parole al miele tra due giganti che si sono incontrati per la prima volta a Londra nel 1976. «Eravamo piuttosto curiosi l’uno dell’altro - ammette Clapton - io soprattutto volevo vedere le sue chitarre così strane. Ero in studio con la mia band, Dicky Simms, Carl Radle, Jamie Oldacre che venivano dall’Oklahoma ed erano amici di J.J. Così lui venne a trovarci, si sedette e stette ad ascoltare, alla fine della session suonammo insieme Cocaine». Poi però sono passati decenni prima di vederli insieme. «Entrambi siamo molto riservati e, per la verità, temevamo un rifiuto dall’altra parte. E poi volevamo scrivere canzoni senza tempo come quelle di Bob Marley o quelle di The Band». Galeotto fu l’ultimo incontro al Crossroad festival di Clapton, raduno di celebri chitarristi di cui è disponibile il dvd. «In quell’occasione - ricorda Clapton - decidemmo che era il momento di fare un cd insieme. Ci trovammo dopo poco meno di un anno, io non avevo scritto quasi nulla ma John aveva una decina di ottimi pezzi, così anch’io mi sono messo a lavorare». Questo spiega come mai Clapton abbia scritto solo tre brani tra cui Three Little Girls, dedicata alle figlie. «I brani di John sono talmente universali e ricchi di emozioni ed è facile farli propri. Così per contrasto ho scritto qualcosa di personale, parlando del rito a me più caro. Quando torno a casa la sera suono per le mie bambine mentre loro ballano; è un appuntamento importante della mia giornata che ho voluto raccontare».
Per il resto il cd è farina del sacco di Cale e le chitarre si incrociano tra blues, boogie, ballate rock che alternano tensione e colloquiale concretezza come Danger, Dead End Road, When the War Is Over («contro tutte le guerre di tutti i colori»), Ride the River (il pezzo che ha dato l’incipit all’album) e Sporting Life Blues del bluesman Brownie McGhee. «È un vecchio pezzo di folk inglese, come Railroad Bill o Down In the Willowy Garden. Queste canzoni, poi portate al succeso da Pete Seeger, Woody Guthrie, Ramblin’ Jack Elliott, Brownie McGhee & Sonny Terry, ronzano sempre nella mia testa e ogni tanto ne tiro fuori qualcuna». La strana coppia di star che odia il glamour e i media ha pubblicato un disco a misura d’uomo, un disco on the road giocato sulla tecnica strumentale e sul sentimento, sulla voglia di non cedere alla tecnologia senza restare indietro.

Lo dimostra la copertina, dove i due sono in mezzo ad una strada deserta e assolata (Cale in piedi con un cartello in mano, Clapton che suona la chitarra sul retro di un antico furgoncino) e il titolo del cd: Road to Escondido. «È un luogo a dieci miglia da casa mia - dice Cale - e vuol dire valle nascosta, un luogo che a Eric piace e dove ci illudiamo che nessuno ci possa trovare».

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