Claudio, lo studente triste, travolto dal treno e dal castello di bugie

La notizia, tre giorni fa, era stata liquidata nelle brevi: «Giovane muore buttandosi sotto la metro». Quando in redazione plana una simile agenzia, ci si spiccia: una notiziola e via, dando conto più del fastidio degli utenti per gli inevitabili ritardi sulla linea (era la B, la stazione Tiburtina), che dell’«insano gesto», come avrebbero detto i cronisti di una volta, liquidato con l’indifferenza asciutta travestita da ritegno per il dramma (un venticinquenne, poi).
Poi qualche volta la realtà sgomita e la «breve» diventa notizia, l’«insano gesto» quasi letteratura: e si scopre che di Claudio, studente di Ascoli Piceno di 25 anni, ci ha in qualche modo parlato Emmanuel Carrère nel libro L’Avversario, edito in Italia nel 2000 da Einaudi, che divenne anche omonimo agghiacciante film interpretato da Daniel Auteuil. La storia, tratta da un vero fatto di cronaca avvenuto nel 1993 in Francia, di un uomo che per diciotto anni finge (di essersi laureato, di esser divenuto medico, di lavorare alla Oms di Ginevra, di guadagnare bene) e per sottrarsi al castello di bugie che sta incrinandosi minacciando di travolgerlo uccide tutti i familiari fallendo solo quando si tratta di ammazzare se stesso. Claudio (che chiameremo così ispirandoci al protagonista della vicenda e del romanzo, Jean-Claude) forse quel libro non l’aveva letto, ma si sa che la vita è narratrice molto migliore di qualsiasi romanziere. E partendo dallo stesso incubo è arrivato alla decisione di eliminare solo se stesso. Claudio era molto indietro nei suoi studi alla Luiss, ma non aveva trovato il coraggio di confessare queste défaillance alla famiglia che da anni lo manteneva a Roma, sognando di vederlo tornare nelle Marche da dottore. Così aveva preso a raccontare di esami superati brillantemente: all’inizio deve essersi trattato di frottole dette alla leggera, nella spavalda convinzione di recuperare agevolmente il terreno perduto. Poi gli esami virtuali sono diventati una ventina: un oceano impossibile da percorrere, uno scollamento malato tra realtà e fantasia. La famiglia lo credeva prossimo alla laurea e pregustava il viaggio a Roma, i confetti rossi, la festa. Mentre lui era praticamente una matricola, con il «libretto» quasi vergine. E il gettarsi sotto un treno deve essergli sembrata l’unica soluzione possibile; quelle tonnellate di ferro sui binari molto più leggere di quel grumo sullo stomaco: e se a sollevar pesi ci si allena in palestra, come esercitarsi a diventare body-builder dell’anima?
Ora alla Luiss è il momento dei dubbi. L’ateneo aveva messo gli occhi su quel ragazzo triste che da anni non sosteneva esami, aveva proposto e a volte organizzato incontri con psicologi, durante i quali Claudio aveva sempre minimizzato: «Tornerò a studiare, mi rimetterò in regola». La famiglia era rimasta all’oscuro di questo lungo prologo alla tragedia, non potendo essere avvertita dalla Luiss per ragioni di privacy.

«Ci rivolgeremo al garante - dice ora il preside di Giurisprudenza, Roberto Pessi - per trovare una formula che consenta di comunicare direttamente con le famiglie nel caso di studenti maggiorenni con situazioni universitarie critiche».

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