«No».
I vostri dati non sono questi?
«Abbiamo la più attendibile banca dati in Italia per le serie lunghe e ultrasecolari. Probabilmente qualcuno ha frainteso quello che il ministro ha detto, oppure hanno altri dati, o qualcuno ha fatto male i conti».
Al consiglio nazionale delle ricerche c’è un gruppo di lavoro che si occupa di Climatologia storica. Fa capo all’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna, e a guidarlo è la dottoressa Nanni. Calcolare le medie del caldo e del freddo nel corso dei decenni e dei secoli è dunque il loro lavoro.
L’Italia si sta surriscaldando di più?
«L’Ipcc (l’organismo dell’Onu per gli studi sul clima, ndr) indica un trend di temperatura a livello globale: si tratta delle medie di andamento di tutte le regioni del globo. Quando si parla di media si parla di “più” e di “meno”. Ci sono dunque regioni in cui i trend aumentano di più e altre in cui aumentano di meno. L’europa centromeridionale ha un trend abbastanza alto, forse tra i più alti. E questo concorre a creare quel valore medio».
Non c’è quindi un allarme Italia?
«No. Bisogna far attenzione alla lunghezza del periodo sul quale si calcolano le temperature medie. Il trend cambia a seconda della lunghezza del periodo. Se calcolo l’aumento delle temperature negli ultimi duecento anni ho un dato, con un surriscaldamento medio di 0,9 gradi per secolo. Ma questo dato cambia se prendo in esame un periodo più breve e più recente. Dal 1980 in poi c’è stato in Italia un aumento di temperatura molto veloce. Se calcolo la tendenza sugli ultimi cento anni ho un valore. È chiaro che man mano che mi avvicino agli ultimi anni ho un andamento che risente di più dell’innalzamento delle temperature. Più è lungo il periodo di riferimento più è alta l’attendibilità».
Guardare solo gli ultimi decenni può alterare la visione dei mutamenti reali?
«Negli ultimi cento anni la temperatura mondiale è aumentata di 0,74 gradi, in Italia di circa 1-1,3 gradi. Ma nel calcolo degli ultimi cinquant’anni la media dell’aumento per l’Italia sale a 1,4. Cinquant’anni però sono un periodo troppo breve per avere una tendenza con valore assolutamente attendibile. Si può dire che in media ogni cento anni si acquista un grado. Il riscaldamento dunque c’è, ma non bisogna creare panico».
Com’è la situazione dell’Italia a paragone con gli Stati confinanti?
«C’è una omogeneità delle temperature della fascia alpina, come Svizzera e Francia, e anche con la Spagna.
«Abbiamo verificato una diminuzione del 5% a livello nazionale negli ultimi cento anni, e sono meno i giorni piovosi e i giorni a bassa piovosità. C’è stato quindi un aumento delle precipitazioni intense soprattutto al nord Italia, mentre al sud si è verificata una diminuzione dei giorni a bassa piovosità ma senza che vi sia stato un compenso con un aumento di giorni di precipitazioni intense».
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