Milano - La corsa è a tirarsi fuori. E a coprire. Due giorni di interrogatori per dire che alla clinica Santa Rita si obbediva agli ordini, e che esisteva una catena di comando che dalla sala operatoria portava alla direzione sanitaria, e quindi alla proprietà. Perché tutti, all’interno della casa di cura, agivano «correttamente». Tanto, che nessuno ha mai denunciato nulla.
Martedì, era stato Pier Paolo Brega Massone - primario dell’unità di chirurgia toracica - ad aprire le danze. «Facevo tutto nell’interesse dei malati». Ieri, a difendersi è stato Renato Scarponi, capo equipe in Ortopedia, la «macchina da guerra». «Ho obbedito a quanto mi veniva imposto». Il medico, quindi, chiama in causa la direzione sanitaria della clinica: Gianluca Merlano e Maurizio Sampietro. Era da loro - spiega - che arrivavano le indicazioni sul «protocollo» da utilizzare all’interno della casa di cura. Ma «ho sempre riferito la verità - assicura Sampietro - non ho nessuna delle responsabilità che mi vengono imputate. Ero direttore sanitario, e come tale ho sempre svolto con puntualità i miei doveri». Anzi. Sampietro racconta che nelle occasioni in cui aveva contestato i Drg di Brega, quest’ultimo si era rivolto a Francesco Paolo Pipitone (socio unico della Santa Rita). L’intervento del notaio non lasciva spazio a repliche: alla direzione si chiedeva di chiudere un occhio sui comportamenti spregiudicati del medico.
Anche l’anestesista Giuseppe Sala ha «sempre correttamente». Ad ogni modo, proprio Sala sarà interrogato oggi dai pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, che nella giornata di ieri hanno sentito altri cinque anestesisti. L’intenzione della Procura (che nel frattempo continua a indagare anche su altre cliniche milanesi, tra cui la San Siro e la San Pio X per interventi di chirurgia estetica su pazienti affetti da Hiv, inchiesta nota dal luglio dello scorso anno e di cui parlerà il settimanale Panorama in edicola oggi), è di mettere a confronto le versioni raccolte in questi due giorni tra quanti erano presenti agli interventi chirurgici sotto accusa, così da completare un quadro già ricco di molti particolari. E non è escluso che proprio dopo l’audizione dell’anestesista possano essere decise nuove iscrizioni nel registro degli indagati.
Quel che sembra emergere, insomma, è che alla Santa Rita erano in molti a non vedere. Lo ribadisce anche Paolo Pansera (dell’equipe di chirurgia toracica guidata da Brega), che al giudice dice di non essersi mai reso conto delle procedure sotto accusa, se non «quando la Asl ha presentato un esposto». Un inquirente sbotta. «Neanche un cane... Non un medico che abbia denunciato quanto stava accadendo, e che non si poteva non vedere». Un clima di omertà difficilmente conciliabile con la realtà abnorme descritta dagli atti d’indagine. Esemplari, in questo senso, i dialoghi tra Pipitone e il consulente della Santa Rita, il professor Luigi Legnani. Conversazioni nelle quali il medico - nominato come consulente dalla Santa Rita - non esita a utilizzare parole come «terribile», «incredibile», «disastrosa», e «sconcertante» per definire l’attività del dottor Brega. Valutazioni che non sembrano smuovere il notaio Pipitone.
Così rimane lui, il notaio, il primo anello della catena, che oggi sarà sentito dal giudice. Dagli arresti domiciliari, attraverso il suo legale, aveva subito preso le distanze dai medici che aveva a libro paga. Incluso Scarponi, la «macchina da guerra» quello che «opera anche chi non ne ha bisogno», finendo per fargli «guadagnare miliardi». Tutto nelle telefonate intercettate.
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