Un clochard decisamente originale, che raccontava tante storie diverse, sulla propria vita. 46 anni, Andrea Severi è tarantino, in Puglia però nessuno lo ricorda più. Ai soccorritori ha detto di chiamarsi Rizzo, da tempo fornisce questo cognome, che in realtà appartiene a un suo parente. Staziona nella città romagnola da una quindicina d'anni: era partito da via Santa Chiara, si era trasferito al parco Cervi, di lì al Parco Ausa, dal 2007 in zona Colonnella.
«È un uomo riservato - racconta don Antonio Moro, il parroco di quella chiesa -, che si limitava a chiedere di andare per lui al supermercato. Non se la sentiva di entrare, neanche a comprare le medicine in farmacia, alla fine ha sempre voluto restituire i soldi».
La sua è una famiglia difficile, nessuno però ne sa molto. Ha sempre avuto problemi psichici, è conosciuto dai servizi sociali e dal servizio di igiene mentale dell'Ausl, ha sempre rifiutato i ricoveri. Romanzava la propria storia con fantasia.
«Ho avuto un incidente, facevo l'autotrasportatore - raccontava a qualcuno dei suoi vicini di panchina -. Fu un terribile incidente stradale, mi ha cambiato la vita». Ha sempre indossato giacche mimetiche: «Ho fatto il servizio militare, poi sono stato poliziotto». Moro, corporatura robusta, non tanto alto, barba incolta. È un abitudinario: alle otto e mezza di sera già coricato, alle 7 del mattino sveglio. Pronto per il suo peregrinare con la vecchia bici. «Un po di tempo fa dei balordi mi hanno rotto un braccio», dice alla polizia. E la storia è vera.
Andrea è conosciuto dalle associazioni di volontariato che operano a Rimini, in particolare dalla Capanna di Betlemme, che ha subito raggiunto Padova con una delegazione. «Escludo che abbia tentato di suicidarsi - garantisce Cristian Gianfreda, uno degli responsabili dell'ente -. Andrea è un solitario che rifugge i luoghi affollati come le stazioni, per questo solo raramente accettava ospitalità nella nostra sede. Proprio il suo isolamento ne ha fatto un bersaglio facile per qualche malintenzionato, di certo non è stata colpa di un appartenente al mondo dell'emarginazione».
Il barbone dalle tante identità si metteva sempre sulle stesse panchine. «Fra la chiesa della Colonnella e il palazzetto dello sport, tutti sapevano di trovarlo lì. Non ha problemi con la giustizia, né con qualcuno in particolare. È gentile e tranquillo, girava spesso in bicicletta».
Qualcuno l'ha visto ubriaco, su questo particolare le testimonianze sono discordi. Ieri sera il Laboratorio sociale Paz ha subito promosso un presidio pubblico, in piazza Cavour, con la parola d'ordine «Non c'è pace senza giustizia».
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