Cultura e Spettacoli

Clooney: «Sono un liberal vero ma il mio film non è anti-Bush»

Michele Anselmi

da Venezia

Che volete di più da un divo hollywoodiano? È bello, spiritoso, abbastanza fedele alle fidanzate, viene dal Kentucky, non si tinge i capelli, non si dà arie, veste normalmente, è politically correct (nel senso che detesta la dinastia Bush), possiede una villa sul Lago di Como (quindi ci adora), firma decine di autografi regalando a tutti un sorriso e si fa fotografare accanto ai disabili in carrozzella sfoderando un decente italiano. Un’autentica forma di clooneymania è esplosa ieri sera in Sala Grande quando, tra l’entusiasmo forsennato delle giovani fan e l’impazienza dei vip accorsi per la prima di gala, la proiezione è stata sospesa per pochi minuti in modo da calmare gli animi.
San George Clooney era apparso in mattinata al Lido per promuovere il suo secondo film da regista, quel Good Night, and Good Luck che ricrea, partendo dalla vicenda dell'ispido anchorman Edward R. Murrow, gli anni bui del maccartismo americano. Quando la paranoia anticomunista, generata con qualche ragione dalla Guerra fredda, finì col degenerare in una sorta di caccia alle streghe.
Chi se non lui, l'attore liberal per antonomasia, poteva mettere al servizio della Giusta Causa il carisma personale accumulato negli ultimi dieci anni, grazie al trionfo di ER? Nessuno. E infatti, muovendosi con intelligente equilibrio tra cinema commerciale (The Peacemaker, Batman & Robin e Ocean's Eleven) e cinema d'autore (Fail Safe, Three Kings, Confessioni di una mente pericolosa, il prossimo Syriana), eccolo riuscire nell'impresa di girare un film in bianco e nero, tutto in interni, che probabilmente farà flop ai botteghini ma lo consacrerà regista da festival. Al pari del Robert Redford di un tempo, altra icona democratica, il 44enne Clooney è artista capace di muoversi agilmente nel sistema hollywoodiano senza farsi inchiodare al ruolo di sex-symbol: per realizzare Good Night, and Good Luck ha ceduto il suo compenso da regista allo Studio (la Warner Bros), facendosi pagare un (1) dollaro per la sceneggiatura e recitando sul set a paga sindacale. Direte: be', sai che fatica con tutti i soldi che prende, incluse le pubblicità! Il bello è che a lui si crede: perché, più di Harrison Ford, Tom Cruise e Tom Hanks, incarna un certo tipo d'America, radical e pacifista ma anche patriottica e onesta.
E infatti, nella sala stracolma delle conferenze stampa, esordisce così: «Questo film non è una dichiarazione politica. Tutti sanno come la penso sul presidente Bush, la guerra in Irak e il Patriot Act, ma Good Night, and Good Luck non è stato fatto per attaccare l'amministrazione. Se trovate qualche riferimento all'oggi, non mi dispiace, ma era mia intenzione suscitare una riflessione su quegli anni, quando la democrazia americana sembrò impazzire». Clooney è figlio di un noto anchorman, il quale si ritirò dalla professione per tentare la carta politica (ma gli è andata male) sostenendo che «la tv sta diventando sempre più spettacolo e sempre meno giornalismo». Sarà anche per questo che l'attore-regista ha voluto rendere omaggio alla figura di Murrow, il giornalista che sfidò il potente senatore McCarthy, cucendogli addosso un film teso e molto parlato, dove il Cattivo appare solo attraverso materiali d'archivio, perché nessuno potesse gridare alla falsificazione faziosa. Anche Clooney, come il suo eroe della Cbs, non è «comunista», e anzi, deludendo qualche anima bella, precisa: «Oggi sappiamo che McCarthy aveva ragione, alcuni degli imputati erano davvero spie al servizio dei sovietici, ma resta il fatto che fu loro impedito di difendersi dignitosamente. Accuse in buste sigillate, inviti alla delazione, distruzione sistematica delle carriere: così avveleni tutto quello che ha fatto grande l'America».
Mancava solo l'applauso. Che però non è mancato sia alla proiezione per i critici sia ieri sera in Sala Grande. Clooney sa come farsi amare, non solo dalle signore accorse in gran numero. «Noi americani siamo ciclici. Ogni trent'anni ci facciamo governare dalla paura, soffochiamo le libertà civili.

Poi rimettiamo le cose a posto, generalmente in modo pacifico, cosa che ad altri paesi riesce meno bene».

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