Cochi e Renato a «Zelig», quando la risata è d’annata

Mentre Barbara Alberti pubblica Riprendetevi la faccia (Mondadori, 223 pagine, 17,50 euro) per esortare le donne a difendere almeno la loro libertà di invecchiare, a Zelig, su Canale 5, nella fabbrica delle nuove star comiche, nell’arena dei giovani talenti sono sbarcati martedì sera Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto. Lì, tra i vari Filù, Simone Barbato, i Minimo, Maurizio Lastrico, Antonio Ornano...
Abbiamo sempre un po’ di apprensione per chi ci piace. Specie per i comici (categoria in perenne rischio scivolata), specie per i comici che ci piacciono e che si trovano a dover traghettare in una generazione diversa la loro comicità diversa. Operazione pericolosa come trapiantare un amante estivo in città, pericolosa come camminare su un cornicione con le scarpe bagnate, pericolosa come tutte le sorprese.
Ma, ospiti d’onore della coppia Claudio Bisio-Vanessa Incontrada, i senatori del Derby ci hanno rassicurati in frettissima.
Pozzetto è salito sul palco con tutte le sue rughe, sacrosantamente approvate dalla Alberti, e ha dimostrato che non c’è alcun bisogno di spingere. Che senza l’ansia di reinventarsi a ogni stagione si rischia solo di rimanere più attuali. «Tieni giù le parole!» e le cose funzionano lo stesso. Pozzetto ha fatto Pozzetto, come quella prima volta nel 1965 al Derby, poetico, surreale, perennemente fanciullo senza che la faccia stropicciata dagli anni stridesse col tutto. E ci ha fatto sentire in colpa per le volte che, per ridere, abbiamo avuto bisogno di farci trascinare chissà dove. Sempre negli stessi posti, a dire il vero. Nebbia in Val Padana.
Con Pozzetto-barbiere che taglia la zazzera a Cochi, che chiede a Bisio di attendere il suo turno e di lasciare pure «giù il casco», che cammina per il palco come se, in tutti questi anni, nulla di ciò che ha dato materia ai suoi colleghi fosse successo, è molto più che ridere. È tornare a ridere. Che «ti ripara la testa, sembra un giorno di festa».
Come porti gli anni bel Renato?...

Li porta educatamente addosso, dignitosamente addosso. Senza imbizzarrimenti politici, senza riempire un vuoto di idee col sempre verde turpiloquio, senza sentire di doverci spiegare come siamo governati e come dovremmo esserlo.

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