Emanuela Fontana
da Roma
Prima sfida: Romano Prodi è di Bologna e dunque dovrebbe conoscere bene la sua città. Seconda staffilata: la legalità non è un problema solo bolognese, ma nazionale. L’ex cinese Sergio Cofferati (diventato «il cileno» per il manifesto) ha dato scacco matto al leader dell’Unione con due semplici considerazioni. Cordiali all’apparenza, ma che le menti lucide del centrosinistra intercettano come un accenno di problematica futura all’interno dell’Unione: «Temo che l’ala massimalista di Rifondazione - rifletteva ieri Giampaolo Pansa - cioè Rifondazione et similia, riproduca il caso Bologna su scala nazionale alla prima decisione che Prodi dovesse prendere in base al principio che la legalità è prioritaria». Lo scontro bolognese sulla legalità che vuole il sindaco e che indigna la sinistra radicale potrebbe anticipare una ben più dura lotta fratricida qualora l’Unione dovesse vincere le elezioni.
Per ora il Professore ha filosofeggiato senza scontentare nessuno. Se Piero Fassino ha preso le difese dell’ex segretario della Cgil abbracciando la sua linea di rigore contro lavavetri e illegalità diffuse che ha sconvolto la stampa di sinistra, in un’intervista pubblicata ieri mattina il leader dell’Unione non scarica platealmente Cofferati ma tenta di non offendere Rifondazione e movimenti. «Bertinotti è a Roma e Cofferati è a Bologna»: così Prodi si è districato, per ora, con motivazioni geografiche tra la legalità cofferatiana e l’apertura di tutte le frontiere che vorrebbe Fausto Bertinotti. Ma è proprio il documento di residenza la carta che gli ha rilanciato Cofferati per metterlo davanti alla realtà dei fatti: Prodi è un cittadino bolognese, l’ex segretario della Cgil è il suo sindaco. Non dovrebbe, il Professore, conoscere più di altri i problemi della città? È quello che ha sottolineato con una punta di malizia Cofferati in un’intervista su Radio 2: «Non ho nessun imbarazzo nei confronti di Prodi - ha chiarito - come credo non ne abbia lui nei miei. Romano conosce bene la città ed è in grado di valutare più di altri, che magari sono troppo lontani, quali sono i reali problemi».
Anche ieri il sindaco ha ribadito che la sua forza gli deriva dal consenso popolare dei suoi cittadini: «Qui a Bologna c’è una divaricazione eccessiva tra il sentire comune delle persone e l’opinione delle forze politiche che mi preoccupa».
Oltre alle motivazioni geografiche pure, Prodi nell’intervista di ieri ha comunque cercato di dare il classico colpo al cerchio e colpo alla botte: «Che una città debba vivere tranquilla e nella legalità è un concetto che condivido in pieno - ha detto -. Però se noi non vogliamo che il problema diventi esplosivo in ogni città, dobbiamo usare risorse e dialogo». Il pensiero dell’uno (Cofferati) e dell’altro (Bertinotti) riassunto in una tattica considerazione. Che può andar bene finché si discetta su una città e non su un governo. Cofferati, da parte sua, rilancia e avverte: il caso Bologna non è solo una storia di provincia: «Certamente il tema della legalità, dell’emersione del lavoro nero devono fare parte di un qualsiasi programma nazionale o locale». Legalità vuol dire uguaglianza, chiarisce il sindaco: «La legge è uguale per tutti». Dura lex sed lex: «Se i lavavetri sono aggressivi è perché spesso non hanno ancora raccolto soldi sufficienti da dare a chi li sfrutta».
Il ministro leghista Roberto Calderoli fa la Cassandra: «Cofferati è l’anti-Prodi». Anzi, riflette il titolare delle Riforme, meglio che lo sfidante della Cdl sia il candidato premier uscito dalle urne delle Primarie dell’Unione, «perché Cofferati sarebbe un avversario più duro, che porta con sé la coerenza e gli attributi purtroppo costruiti all’ultimo momento, magari per intercettare i voti di chi sta a cavallo tra il centrodestra e il centrosinistra».
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