Stefano Filippi
nostro inviato a Bologna
La ricetta di Sergio Cofferati per combattere la prostituzione sotto le Due Torri è un contratto con il Mit, che però non è il mitico Massachusetts Institute of Technology americano, ma il nostrano Movimento di identità transessuale. Accordo per un anno, 80.800 euro complessivi «per lo svolgimento di attività professionali finalizzate a interventi di riduzione del danno per la prostituzione a Bologna e in parte del territorio metropolitano».
Il nuovo paladino della legalità a sinistra si affida dunque ai transex per lultima crociata moralizzatrice, quella contro la prostituzione. Perché proprio il Mit? Non è dato sapere: lassociazione infatti, scrive il direttore del settore Politiche della sicurezza, è stata selezionata «a trattativa privata diretta, a seguito di gara ufficiosa»: si sono accordati tra loro, insomma. Ovviamente «nel rispetto dei vigenti regolamenti e della legge 191/04». Una scelta alla quale Cofferati non devessere rimasto estraneo, visto che la sicurezza è una delega che il sindaco ha tenuto per sé.
Il progetto, di cui poco si è parlato finora, è partito a giugno. Spiega Silvia Lolli, la funzionaria comunale che segue lattività: «Il servizio si è focalizzato su informazione e prevenzione su strada mediante lunità di strada e il drop in». Che vuol dire «fare una visitina» nella nuova lingua ufficiale di Palazzo DAccursio, dove i cittadini sono chiamati city users e il Comune organizza un counselling per la prostituzione indoor. Sono svariate le attività affidate per 81mila euro al movimento guidato da Marcella Di Folco, ex consigliere comunale Verde, sessantatreenne transessuale conosciutissima a Bologna. Il capitolato elenca la «mappatura del fenomeno», la «sensibilizzazione verso un uso civile degli spazi pubblici per evitare comportamenti lesivi ai city users», la «distribuzione di materiale informativo e di prevenzione sanitaria», «laccompagnamento ai servizi sanitari», «collegamenti con i servizi di uscita dalla tratta».
Naturalmente Cofferati non lesina i mezzi agli operatori sociali. Il Comune di Bologna mette a disposizione una sede in via Solferino, le auto e la benzina per le uscite su strada, il materiale informativo, i profilattici, un telefonino per ogni operatore ed eventualmente altro personale esperto a supporto. Ma sta sollevando polemiche lultima delle attività affidate al Mit, cioè lestensione della «riduzione del danno» alla prostituzione indoor, vale a dire quella praticata non sulle strade ma nelle case. Lobiettivo è, illustra Lolli, «riuscire a contattare la maggior parte delle persone che si prostituiscono in appartamento per stabilire con esse un rapporto produttivo in termini di informazione e prevenzione».
«Nelle case del vizio non si mandano i servizi sociali ma le forze dellordine», protesta Alecs Bianchi, consigliere comunale Udc e spina nel fianco di Cofferati. Come utilizzerà il primo cittadino le informazioni sulle prostitute casalinghe? Mappatura, quantificazione del fenomeno, «sperimentazione di contatto», secondo i sociologismi dei funzionari comunali? O segnalazione alla questura dei reati? «Qui a Bologna sono stati condannati per favoreggiamento i vecchietti che accompagnavano le signorine dalla stazione al luogo di lavoro - ricorda Bianchi -. Se qualcuno dovesse tenere per sé notizie di reato, potrebbe essere considerato favoreggiatore anche lui. Sindaco compreso». E compresi i proprietari delle case affittate per il sesso a pagamento scovati dal Mit.
Secondo unindagine della Regione Emilia Romagna, sarebbero tra 500 e 600 gli appartamenti a luci rosse di Bologna. «Non mi capacito che il Comune possa diventare interlocutore di un mondo criminale - dice Bianchi -.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.