Torino - Pretattica, prima che tutti gli elementi raccolti dall’accusa e dalla difesa finiscano nel grande imbuto della camera di consiglio. Tocca all’avvocato Paola Savio scivolare sul calendario per regalare ai giudici, popolari e togati, qualche altro giorno di riflessioni, scambi di idee, letture di questa o quella carta. Gira voce che la Corte d’assise d’appello sia spaccata al suo interno fra colpevolisti e innocentisti: fra chi crede alla colpevolezza di Annamaria Franzoni e vuole ripartire dalla condanna di primo grado, magari mitigando la pena a trent’anni con la concessione di uno sconto opportuno e chi invece ritiene che l’assassino debba essere cercato nei paraggi, non nella villetta dei Lorenzi. «Presidente dice la Savio rivolgendosi a Romano Pettenati io posso dividere in due la mia replica: una parte oggi e un’altra la settimana prossima». L’offerta viene accettata, la camera di consiglio inizierà venerdì prossimo, presumibilmente nello stesso giorno la sentenza.
L’udienza, assai veloce, si risolve in un botta e risposta fra il sostituto Procuratore generale Vittorio Corsi e l’avvocato Paola Savio. «Annamaria Franzoni, dopo aver ucciso il figlio si è comportata come una bambina che ha combinato un guaio e ha voluto nasconderlo - spiega Corsi . Si è comportata come una bimba che ha rotto un vaso e non vuole ammetterlo. Forse per una questione di orgoglio. Ma l’orgoglio uno può metterlo sotto i piedi: se deciderà di confessare noi tutti le vorremo bene».
Sullo schermo si alternano come sempre in questi mesi immagini di vita e di morte: Samuele sorridente sul prato di casa e poi il tecnico dei Ris, vestito quasi come un astronauta, che simula l’omicidio: impugna un sabot, colpisce il bersaglio ripetutamente, a un certo punto curiosamente lo zoccolo gli sfugge di mano. Per Corsi il sabot, estratto dal cilindro della difesa in extremis, non regge: gli schizzi di sangue sulle pareti sono poca cosa rispetto al disastro apparso ai soccorritori la mattina del 30 gennaio 2002.
Ad un certo punto sul monitor compare l’immagine del bambino morto. La Franzoni inorridita gira la testa dall’altra parte, Corsi, rapidissimo, rimedia: «Per favore dice ad un suo collaboratore tolga subito quella foto».
La difesa contesta le elaborazioni, ribalta i risultati, insiste, cronometro alla mano, sui tempi di essiccamento del sangue: 2 minuti circa. Per la Savio il Ris dei carabinieri ha dimenticato nei suoi esperimenti alla Csi questo fenomeno. Ancora una volta sarebbero le macchie di sangue, stavolta sul pigiama, a fare la differenza: se Annamaria in preda ad un raptus ha colpito inginocchiata sul letto, allora si deve pensare che sia rimasta immobile come una statua per quei fatidici 2 minuti. Improbabile. Meglio cambiare scenario.
Altre immagini, in uno strano mix fra reale e virtuale. Fra il prima e il dopo. E su tutto domina la villetta riproposta ossessivamente con immagini frontali e laterali, dall’alto e dal basso. Corsi e la Savio tirano la coperta dei precedenti, delle statistiche, dei delitti di bambini avvenuti in Italia negli ultimi anni. Corsi porta l’aula a Lecco: un bambino che annega nella vaschetta del bagno, la mamma che evoca un misterioso aggressore, il marito che freme e vorrebbe dare la caccia al fantomatico killer. Poi il crollo e la confessione, quella che l’accusa reclama per Cogne da cinque anni.
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