Cogne, sì alla perizia. La difesa: sentenza già scritta

Stefano Zurlo

nostro inviato a Torino

In Italia può accadere. Il filmato originale girato dai carabinieri per documentare la stanza del delitto che ha sconvolto il nostro paese sarebbe stato cancellato per risparmiare qualche euro. A Cogne, a quanto pare, è andata così. E sempre in Italia può accadere che 125 fotografie scattate sempre dall’Arma nelle ore successive al massacro del piccolo Samuele siano sparite. Forse ci sono ancora o forse no. Non si sa, almeno per ora. È un’udienza fiume quella in cui la difesa di Anna Maria Franzoni manda un paio di volte al tappeto gli investigatori dell’accusa.
Un’udienza che però si chiude con una querelle fra la difesa e la corte d’assise d’appello: è la rottura del patto non scritto di collaborazione fra Carlo Taormina e il presidente Romano Pettenati, stipulato in aula mercoledì scorso. I giudici decidono infatti di procedere contemporaneamente in due direzioni: dicono sì ad una nuova perizia psichiatrica sulla Franzoni e ordinano l’acquisizione degli atti contenuti nell’inchiesta Cogne bis, in sostanza le presunte malefatte della difesa che avrebbe inquinato le prove. Solo in seguito si farà una nuova perizia sulla stanza del delitto, come chiesto da Carlo Taormina. L’avvocato non si aspettava quella mossa e insorge: «La sentenza è già confezionata, il nostro interesse per il processo così scompare, ribadisco l’indisponibilità di Anna Maria Franzoni a sottoporsi a perizia psichiatrica. La perizia si fa quando si pensa che ci siano gravi indizi contro l’imputato». «Allo stato - ribatte Pettenati - i gravi indizi ci sono, se no procederei di conseguenza».
L’atmosfera di concordia del primo giorno non c’è più. In effetti pareva che la corte volesse prima accertare una volta per tutte l’eventuale colpevolezza della Franzoni. Poi, solo se incastrata dalle nuove analisi, la donna sarebbe stata sottoposta alle domande degli psichiatri. Le cose non stanno così: «Non capisco - chiude la querelle Taormina - perché non si esegua prima la prova che potrebbe scagionare Anna Maria Franzoni. La signora Franzoni è tranquilla e serena e vuole dimostrare la sua innocenza. Mi pare che la corte vada in una direzione diversa».
Per tutto il giorno, però, la corte ascolta attentamente i rilievi che Taormina muove ai carabinieri di Aosta. Arrivano in tre, con un book di foto. Prima però c’è la proiezione, quasi alla moviola, del vhs recuperato dalla magistratura torinese nei giorni scorsi. La videocamera segna le ore 12.53 del 30 gennaio 2002, circa cinque ore dopo l’agguato al piccolo Samuele. Le immagini catturano il letto, con l’enorme chiazza di sangue, il paralume, la bacinella azzurra utilizzata dai soccorritori, poi scrutano il parquet e mettono in evidenza altre macchie. Ciascuno interpreta a modo suo il video, anche perché il pigiama, che sta alla base della condanna, non viene mai inquadrato: non è sulle lenzuola, non è a terra. «Era sul letto», afferma il maresciallo Enrico Pesenti. «No, potrebbe essersi macchiato per terra», ribatte Taormina e dunque l’indumento non proverebbe affatto la colpevolezza della Franzoni. Ma il punto dolente è un altro: il filmato presenta alcuni tagli, una dozzina per Taormina. «Non ritengo di aver fatto le riprese in un’unica sequenza - è la spiegazione di Pesenti - e quindi è possibile che io mi sia fermato stoppando la videocamera». Poi tocca all’appuntato scelto Marco Piras proporre un’altra sconcertante versione: «La cassetta con le riprese integrali è stata sovrascritta perché all’epoca avevamo problemi di fondi e quindi una volta che il vhs della telecamera veniva riversato, la cassetta veniva riutilizzata».
Il mistero s’infittisce quando si passa alle foto: «Dal fascicolo di indagine sul delitto di Cogne sono sparite 125 foto», afferma Taormina. Piras parla di una «cernita di immagini inutili o inservibili», dettata dalla necessità di «svuotare» la memoria della macchina digitale.

Il maresciallo Enrico Marrari aumenta la confusione sbandierando il suo scetticismo: «Non mi risulta che siano state cancellate fotografie. E poi come si fa a cancellarne 125?». «Non è possibile che spariscano - ribatte il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi - ci sarà una spiegazione che ora ci sfugge».

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