Col figlio malato bloccata sul vagone «Aiuto, devo portarlo in ospedale»

La rabbia della gente: «Sono napoletana, ma spero che i leghisti diano una sterzata»

da Napoli

Quando i diritti di oltre 250 passeggeri, sono svaniti sotto le minacce e i colpi delle aste e dei pugni contro i vagoni, tra i primi ad abbandonare il treno del terrore, c'era anche Anna, 40 anni, con il figlio. Non era un ritorno a casa dopo le vacanze, tanto meno un viaggio di piacere: l'Intercity Plus 520, dovevano prenderlo per recarsi a Genova, all'ospedale pediatrico «Gaslini». Sì, era un viaggio della speranza. La donna e il figlioletto sono poi partiti con molte ore di ritardo, per colpa degli ultrà del Napoli ma hanno temuto di non farcela.
Anna ha pianto, si è disperata. Con il suo coraggio di madre, ha pure urlato contro le belve tutto il suo disprezzo per quello che stavano facendo. «Devo portare il mio bambino all'ospedale, deve essere visitato dai medici», ha gridato chiedendo aiuto, ma senza ricevere risposte. Si è arrangiata, il treno se lo è cercato da sola ed è partita per Genova
La gente inferocita, ne ha per tutti. Non c'è solo indignazione ma soprattutto rabbia. Non solo i viaggiatori dell'Intercity espropriato dagli ultrà partenopei ma anche gli altri passeggeri diretti in altre località ma comunque coinvolti nella bolgia di Napoli Centrale sbraitano il proprio sdegno. «Hanno creato un Osservatorio ma che cosa ci sta a fare se poi non proibiscono lo stadio ai delinquenti», dice Arturo Del Gaudio, 32 anni.
Nonostante il pericolo la gente non ne può più e lo manifesta apertamente. «Io, sono napoletana, ma spero tanto che il leghista Maroni, dia una sterzata sull'ordine pubblico», invoca una signora, Maria Antonietta Morelli, 63 anni, romana. Cinzia Vettosi, era sul treno degli ultrà, scende con i suoi due bambini dal convoglio e racconta le sue paure. «È incredibile quello che sta succedendo qui. Ho avuto persino terrore a scendere dal treno. Sembra un assedio. Ci sono centinaia di tifosi che urlano e vogliono entrare nei convogli».
Inorriditi i turisti. «Ma che cosa sta succedendo», chiede un inglese nel suo italiano un po' traballante. «Possibile che accada tutto ciò per una partita di calcio?», dice quando gli viene spiegato il motivo delle tensioni. «I programmi sportivi devono smetterla di esultare quando una partita va bene e non ci sono incidenti.

Nel calcio funziona come nei clan: anche tra gli ultrà ci sono i patti di non belligeranza», spiega un poliziotto, sconsolato e preoccupato. È del Reparto mobile, lo stesso in cui lavorava Filippo Raciti, ucciso dai teppisti a Catania lo scorso anno.

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