Purtroppo per me, che tre anni fa ho smesso di fumare, qui devo rollarmi le sigarette da sola, col tabacco scuro e forte, per connotare una certa durezza. E finirò male, pagando con la vita i miei crimini», spiega Donatella, già oggi sul set leccese dell’erigenda pellicola (di nuovo accanto a Fabrizio Gifuni, come nel film di Porporati), nella quale la vedremo, per la prima volta, distante dai ruoli di eroina positiva, cui ci ha abituati.
«Ho scoperto che la calata salentina è simile al dialetto messinese, che conosco bene. Devo solo aggiungere un timbro più secco, di naso, come vuole Edoardo: oggi mi fa incontrare un po’ di donne del Salento, alle quali mi dovrò ispirare», prosegue l’artista, definitivamente lanciata nel 2002 da Angela di Roberta Torre. La Finocchiaro quest’estate ha lavorato talmente tanto, che ricorda le giornate del bagno a mare. «Il 24 giugno, il 20 luglio e il 25 agosto», conta sulle dita, ridendo. «A Cefalù, da zia Vera, dove vado ospite da quando avevo undici anni. Li abbiamo visti gli incendi, sì, dietro il mare meraviglioso di Campofelice di Roccella. Che dispiacere! Uno ci prova a sperare, a essere ottimista, però… Meglio pensare a ieri sera, a Santa Maria La Scala.
Sulla terrazza di un’amica, al buio, a guardare i fuochi d’artificio. La mia Sicilia è una terra di luoghi stupendi. A Capodanno ero ad Alicudi e ho scoperto che ci abitano molti tedeschi, trasferiti lì, perché si vive come nell’Ottocento: senza macchine». È piacevole sentire entusiasmo sincero in questa brace che arde da quando Cinelandia si è accorta di lei, una faticona approdata per caso sul set. «Per riempire i vuoti della giornata, da studentessa di Giurisprudenza m’ero iscritta a un corso di recitazione, a Catania. Una mia amica di corso mi convinse a fare un provino a Roma, all’Accademia Silvio D’Amico. Mi dissero: “Sei brava” e presi a lavorare al Teatro dell’Orologio. Non entrai in Accademia, avevo già venticinque anni. A un certo punto, tornai nella mia terra, presi la benedetta laurea, ma il pallino ce l’avevo ancora in testa. Recitavo, così, allo Stabile di Catania, facendo un po’ l’avvocato, un po’ l’attrice». Con l’umiltà delle brave, che non devono passare per il divano del produttore, o sotto la scrivania del politico, Donatella Finocchiaro ha raccolto riconoscimenti, premi, nomination; ha lavorato con Bellocchio (in Sorelle e nel Regista di matrimoni, «dove avevo un ruolo pallido e malinconico, non per me»), con Lizzani (La passione di Angela) e con Andò (Viaggio segreto), con Franco Battiato (Perdutoamor), con Calopresti (L’abbuffata) e Tavarelli, che l’anno scorso la portò al Lido con Non prendere impegni stasera, però non ci fa caso. Come non le importa, più di tanto, di figurare, quest’anno, sulla copertina d’un dizionario cinematografico. «Io emblema del cinema d’autore? Dico solo, ai giovani, di nutrire speranze: se ci si impegna, prima o dopo si arriva. Ne sono testimone vivente. Così è rispetto alla mafia: a furia di combatterla, magari anche con un film, la sconfiggeremo. La mia Ada, il forte personaggio de Il dolce e l’amaro, è decisiva per far cambiar vita al fidanzato mafioso», interpretato da Lo Cascio. All’inizio, i due sono presi da una passione travolgente, che li spinge ad andare negli alberghi a far l’amore. «Poi lei, insegnante elementare, si trasferisce al Nord. “Non voglio sposare un delinquente”, dirà a Saro. E vincerà, da donna, che vigila con amore. Perché l’uomo, grazie al libero arbitrio, può scegliere».