Coleman, un grande innovatore che oggi ama la ripetizione

Ascoltare Ornette Coleman in concerto quattro volte in un mese non accade spesso in Europa. Eppure questa possibilità è stata offerta lo scorso ottobre dai maggiori teatri di Bologna, Reggio Emilia, Modena e adesso dal Teatro Verdi di Padova. Prima era arrivato nei negozi il cd Sound Grammar del quartetto colemaniano dopo dieci anni di silenzio, e quindi non si può dire che manchino nuovi elementi di giudizio. In linea di principio è confermata l’impressione che sia in atto una rivalsa dei grandi senatori del jazz americano e in primis di Coleman. Proprio per lui, peraltro, è d’obbligo qualche distinzione in base a quanto si è ascoltato. Si può trascurare la sinfonia Skies of America, non essenziale nella produzione del maestro, e concentrarsi sul quartetto. La presenza di due contrabbassi, Tony Falanga e Al McDowell, ha fatto sospettare un ritorno al passato, smentito dall’uso dei due strumenti, il primo quasi classico con l’arco e il secondo elettronico.

Evidenti sono la ristrettezza del repertorio prescelto e quindi la tendenza a ripetere temi e variazioni perfino nei bis. Saranno queste, forse, le caratteristiche del viale del tramonto di Coleman, insieme con la sua sonorità esile e acuta rispetto a un tempo. Ma è comunque un bel viale.

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