Il Colle non diventi lo sportello reclami delle banalità

Ci manca solo che intervenga sui turni di conduzione del Tg1, sulla campagna acquisti della Juventus e sulle offerte mese del supermercato Esselunga di Agrate Brianza, e poi fa bingo. Il presidente Napolitano, in effetti, negli ultimi tempi non se ne perde una: l’altro giorno a Napoli, dopo aver annunciato di dover disertare, a causa di una fastidiosa influenza, i funerali dell’alpino morto in Afghanistan, ha ritrovato all’improvviso forze e energie per esternare. E non ha saputo trattenersi dal dire la sua anche sulla Fiat. Azienda privata, dichiarazione pubblica: chissà se nei prossimi giorni vorrà farci sapere che ne pensa del listino prezzi della Barilla e dell’organizzazione interna della Benetton.
Nutriamo il massimo rispetto per la carica istituzionale, sia chiaro: ma la carica (...)
(...) istituzionale, appunto, che cosa c’entra con le relazioni industriali di Mirafiori? Da quando in qua il capo dello Stato siede al tavolo delle trattative sindacali tra Fim, Fiom, direttore del personale e Ugl? Non che l’uscita («occorre un dialogo più costruttivo») fosse di quelle destinate a passare alla storia, per la verità. Anzi, letta così, di fretta, sembra rientrare a pieno titolo nel repertorio classico di Napolitano, uno che si è spesso distinto in passato per dichiarazioni da Guinness dell’ovvio: meglio un uovo oggi che una gallina domani, una buona pastasciutta è meglio che il pane raffermo, l’Inter è più forte dell’Atletico Forlimpopoli. Non dimentichiamo quello che dicevano di lui i vecchi amici del Pci: «Napolitano, alle riunioni del partito, era il primo a proclamare: bisogna dire le cose come stanno. Ma lui non le diceva mai, però».
In realtà, però, l’intervento dell’altroieri sulla Fiat a molti è parso assai più secco e determinato del tradizionale «repertorio Napolitano». Da più parti, infatti, è stato interpretato come un intervento a gamba tesa a favore della Fiom. E per questo fin da subito sui siti Internet sono cominciati a arrivare commenti anche molto duri sul «Napolitano comunista» e «amico della Cgil», commenti che il Corriere.it ha provveduto velocemente a censurare, come ha raccontato ieri il Giornale. Davvero il capo dello Stato voleva dare una mano in modo così esplicito ai compagni metalmeccanici? Difficile dire. Di certo, però, quella frase non suonava benissimo. Se non altro perché il «dialogo» per essere «costruttivo» non può non tener conto delle situazioni complesse in cui ci si trova a operare. E il cambiamento non è facile da comprendere, soprattutto quando si viene da anni di pregiudizi ideologici. Napolitano, lo sa bene, visto che ci ha messo 50 anni per capire che in Ungheria non ci poteva essere dialogo costruttivo con i carri armati sovietici. Possiamo sperare che, nella circostanza, inquadri il problema un po’ più rapidamente?
Se poi non lo inquadra, per altro, va bene lo stesso. Anzi, forse meglio. Come dicevamo, non ci sembra che l’organizzazione del lavoro a Pomigliano, i turni di lavoro a Mirafiori e le rappresentanze sindacali dei metalmeccanici siano argomenti su cui è necessario l’intervento del presidente della Repubblica, che fino a prova contraria deve garantire le istituzioni, mica un titolo ai giornali. Anche perché, a dirla tutta, ci preoccupa un po’ questo Napolitano trasformato in «sportello reclami», come l’ha definito l’Unità, facendolo beatificare da Massimo Cacciari («Napolitano santo subito») e dal lirico Dario Fo («è il confronto di un Paese sbrecciato che sotto il cielo scuro può solo credere ai miracoli»). In effetti, ormai sembra che chiunque abbia un problema in Italia, dal rubinetto che perde al figlio che si sbronza, non può far altro che suonare al campanello del Quirinale. Sportello reclami, appunto: secondo l’Unità questo è un modo per rafforzare l’istituzione. Sarà. E pensare che a noi, invece, sembra un modo per svilirla.
Fateci caso. Solo per restare agli ultimi tempi, e solo per restare alle cose più note, il presidente Napolitano ha accolto i seguenti lamenti: quello del cantante ribelle Morgan che ha litigato con la moglie Asia Argento per l’affidamento del bebè; quello degli studenti universitari che chiedono al presidente della Repubblica la correzione di una legge mentre la legge è in discussione in Parlamento (mah!); quello dei precari della cultura; quello degli operai della Thyssen; quello di svariate persone con problemi giudiziari e quello di alcuni sindaci, tra cui Salvatore Alaia, primo cittadino di Sperone, provincia di Avellino, che ha messo le tende sul Colle per protestare contro la chiusura dell’ospedale di Bisaccia. Voi capite che dar retta a tutti è un impegno mica da ridere. E spero che questo articolo non lo legga mio figlio, se no la prossima volta che gli dico «stasera non esci», finisce che va pure lui a bussare al Quirinale…
Risultato? Davanti al Colle, solo posti in piedi. E così, povero Napolitano, si capisce anche perché poi intervenga su tutto: cerca soltanto di anticipare i tempi. Appena ha visto che montava il caso Fiat, non ci ha pensato due volte: «Perché aspettare che la delegazione Fiom venga a bussare al Quirinale?», si è chiesto. E cercando di evitare la solita sceneggiata (bivacco delle tute blu davanti ai corazzieri, incontro riservato, fotografi schierati, dichiarazioni compiaciute, ecc. ) si è portato avanti con il lavoro. E ha fatto sapere a tutti il suo pensiero sull’argomento. In effetti ci mancava. O forse no.

Ma che ci volete fare? Questo è il rischio se si trasforma il Quirinale in uno sportello reclami. Avanti di questo passo e nella Costituzione, come rappresentante dell’unità nazionale, non ci sarà più il capo dello Stato. Basterà Mi manda Lubrano. Con il consenso della Fiom, però.

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