Colombo, il pm con l’ossessione dei potenti

Per primo ha inteso il segreto istruttorio non a tutela degli inquisiti, ma degli inquirenti

Pochi direbbero che Gherardo Colombo sia stato il magistrato tutto sommato più pericoloso del Pool Mani pulite: una persona moralmente irreprensibile, sì, ma anche l’archetipo dell’intellettuale appartenente a una sinistra assai più esistenziale che politica.
Colombo, che ha annunciato l’addio alla magistratura, non è mai stato una vecchia volpe alla Gerardo D’Ambrosio o alla Giancarlo Caselli, ha sempre spartito poco con lo spietato darwinismo di un Piercamillo Davigo, non ha mai avuto il magniloquente senso dello Stato di un Francesco Saverio Borrelli o la passione uterina di una Ilda Boccassini, peggio che mai potrebbe possedere una casa alla Maddalena come Francesco Greco e altra sinistra forense. Gherardo Colombo è sempre parso convinto che una stagione dei migliori dovesse sbaragliare prima o poi i peggiori. Sulla rivista di Magistratura democratica, già nel 1983, annotava che «alla magistratura è stata devoluta una serie di compiti che investono più la funzione politica che quella giurisdizionale», «gli spazi lasciati aperti dall’insufficienza dell’opposizione politica sono stati essi pure, necessariamente, occupati dall’intervento giudiziario». Necessariamente.
Con tanto spirito di servizio si occupò dello scandalo dei fondi neri Iri e della P2, poi col tempo si fece più svagato, i jeans stinti, la Lacoste, le scarpe da vela consumate, il vizio della pipa, poi delle sigarette e poi delle dita nel naso. Lui e altri magistrati si riunivano nel circolo Società civile: tra questi Ilda Boccassini, Piercamillo Davigo, Giuliano Turone, Armando Spataro e altri che per statuto non fossero dei politici. Anche i magistrati invischiati col potere piacevano poco, ed è per questo che all’alba di Mani pulite Colombo non voleva saperne di Di Pietro: il molisano aveva la fama che aveva, e comunque sperava che gli potessero affiancare Piercamillo Davigo. Borrelli dapprima preferì Colombo anche per controllare meglio Di Pietro, per quanto il primo si fosse mostrato perplesso perché già impegnato alla Commissione stragi. Di Pietro aveva ricambiato i dubbi, peraltro. Ma Davigo arriverà lo stesso, e troveranno un accordo come Di Pietro annoterà in un suo libro: «Io andavo da Davigo o da Colombo e segnalavo un’operazione che mi puzzava. Vedi che cosa è successo qui? Questo secondo me è un reato di porcata... Cari Davigo e Colombo, dicevo, cavoli vostri, entro domattina trovate una soluzione che dal punto di vista giuridico non faccia una piega, perché devo procedere». Voglio metterlo dentro: il modo trovatelo voi.
Sta di fatto che Colombo poté occuparsi in prevalenza di quelle rogatorie internazionali che tanto l’appassionavano, ma non solo: il suo ruolo sarà essenziale nello stilare la legislazione materiale di Mani pulite, quel rito ambrosiano fatto di carcere facile, libertà per chi confessa e incolpa altri, patteggiamenti come regola, verbali utilizzati come fonti di prova, benedizione di un nuovo Codice ormai ridotto a brandelli e contro il quale, non a caso, sia lui che Davigo dapprima si erano detti contrari. «Il segreto istruttorio», inventò letteralmente Colombo, poi emulato dalle toghe di mezz’Italia, «è posto a tutela dell’attività investigativa, non dell’onorabilità dell’inquisito». Poi ne disse una ancora più bella: «È vero che la riservatezza va tutelata, ma quando il progredire di tutti confligge con l’interesse particolare, io penso che vada sacrificato il secondo al primo». C’è tutto Gherardo Colombo: quel «progredire di tutti» in altre parole è la giurisdizione da lui rappresentata, mentre «l’interesse particolare» sono i diritti del singolo. Lampante. Purché il progredire di tutti non si contamini con il potere: Colombo a quanto pare non si fidava neppure di Giovanni Falcone quando lavorava al ministero della Giustizia. Ecco perché Ilda Boccassini, pochi giorni dopo la strage di Capaci, urlò: «Tu, Gherardo, che diffidavi di Giovanni, che sei andato a fare al suo funerale? Gli avete mandato una rogatoria senza gli allegati». Non si fidava. Non si fidava in generale, Colombo: è per questo che per acquisire i bilanci dei partiti, nel febbraio 1993, mandò un finanziere a bussare alla Camera anziché in una qualunque libreria. E quando si tentò di varare il decreto Biondi per limitare le carcerazioni, nell’estate 1994, Colombo fu in prima fila nel redigere il documento che poi Di Pietro lesse davanti alle telecamere. Anche la famosa frase sulla Bicamerale «ricattabile», nel febbraio 1998, in fondo, era del tutto simile a frasi già dette altre cinque o sei volte.
Sullo sfondo sempre lo stesso spettro: il potere, quel potere che nel suo libro «Il vizio della memoria» ebbe a esorcizzare così: «L’unica speranza di salvezza si fonda sul disconoscere l’uguaglianza: chi ha più potere è diverso dagli altri. Tanto più se può condizionarli, comandarli, soggiogarli. Il potere assomiglia alla condizione di Dio. Tuttavia alla fine si è nudi. L’inconsistenza, la fragilità, la solitudine appresa nell’affacciarsi al mondo dei grandi, esistono ancora, sotto l’anestesia del potere. E si muore lo stesso».
Ma a vanificare la stagione dei migliori, a tradire Gherardo Colombo, non fu il potere. Fu chi teoricamente doveva subirlo. Colombo lo ha ripetuto ieri l’altro sul Corriere della Sera: «Il maresciallo della finanza, il vigile dell’annonaria, il primario, l’ispettore dell’Inps, i genitori dei figli alla visita di leva». La famosa dazione ambientale da principio era sembrata una remota associazione per delinquere, e invece era vicinissima: dal fiscalista, dal commercialista, dal certificatore di bilanci, dall’impiegato comunale e regionale e statale, dall’avvocato, dal notaio, in negozio, al bar, nelle famiglie, con la domestica, nel 740, nello scontrino che non ti danno e che non hai chiesto, con o senza ricevuta? Non ci sono migliori, solo interessi e corporazioni: «La magistratura - ha detto ancora al Corriere -, mi sembra tutto sommato la migliore».


Ma c’è un mondo, fuori: Gherardo Colombo si avvia a migliorarlo. Ha detto che cercherà d’insegnare ai giovani, e merita i migliori auguri: è una persona comunque onesta, lasciate che i vostri ragazzi vadano a lui. Se poi non doveste vederli tornare, preparate le arance.

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